Il contratto di espansione è stato introdotto in via sperimentale per gli anni 2019 e 2020 dall’articolo 26-quater del c.d. decreto Crescita e, inizialmente, non ha riscosso particolare attenzione da parte delle aziende: ciò, verosimilmente, a causa di alcune limitazioni e complessità che non hanno reso particolarmente appetibile la norma per gli operatori del settore. Negli ultimi tempi, tuttavia, tale strumento è stato oggetto di discussione ed opportunità per molte realtà imprenditoriali, quale dispositivo che consente alle aziende di stipulare, a seguito di una procedura di consultazione con il ministero del Lavoro e delle politiche sociali nonché con le associazioni sindacali, un contratto finalizzato all’uscita anticipata dei lavoratori prossimi alla pensione.
L’elemento trainante di questa rinnovata opportunità sono state le modifiche introdotte all’istituto dalla Legge di bilancio 2021. In base alla nuova formulazione, l’accesso - in origine previsto, nel biennio 2019-2020, per aziende con organico superiore a 1.000 unità lavorative - viene esteso anche al 2021 riducendone il limite minimo a 500 unità lavorative e, limitatamente allo scivolo per i lavoratori più vicini all’età pensionabile, a 250 unità. Da ultimo, con il decreto Sostegni-bis, il limite minimo è stato ulteriormente ridotto a 100 unità.
Le aziende che ricorrono a tale opportunità, onde favorire il ricambio generazionale, possono far uscire anticipatamente i lavoratori interessati, distanti fino a 5 anni dal raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia, a condizione che abbiano maturato almeno 20 anni di contribuzione o, se decorrente prima, dalla pensione anticipata ordinaria. Per poter accedere all’istituto, con riferimento ai lavoratori prossimi alla pensione di vecchiaia, a fronte della risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro dovrà riconoscere, fino al raggiungimento della prima decorrenza utile del trattamento pensionistico, un'indennità mensile commisurata al trattamento pensionistico lordo maturato dal lavoratore al momento della cessazione; tale importo sarà abbattuto da un bonus corrispondente alla Naspi che sarebbe spettata al lavoratore.
Qualora invece, la prima decorrenza utile della pensione sia quella prevista per la pensione anticipata, il datore di lavoro, oltre a farsi carico dell’indennità come descritta in precedenza, dovrà versare anche i contributi previdenziali – c.d. contribuzione correlata – ridotti dell’importo corrispondente al valore della contribuzione figurativa Naspi che sarebbe stata riconosciuta al lavoratore.
Resta inteso che, lo scivolo pensionistico potrà avere una durata massima di 60 mesi, con uscita prevista entro il 30 novembre 2021.
Ad una lettura attenta della norma, appare evidente come tale strumento si configuri quale alter ego dello scivolo pensionistico previsto dall’art. 4 della Legge Fornero – L. 92/2012 – c.d. Isopensione. I due istituti, tuttavia, pur presentando tra di loro forti analogie – come, ad esempio, i requisiti di pensione verso cui si può accompagnare il lavoratore con lo scivolo o anche le modalità di recesso con risoluzione consensuale - si differenziano fortemente con riferimento ai costi dell’operazione. Nei fatti, l’accompagnamento previsto dal contratto di espansione, soprattutto in ipotesi di pensione di vecchiaia sarà, senza dubbio, più conveniente rispetto a quello previsto dall’Isopensione, in quanto, il datore di lavoro oltre all’importo della provvista non verserà alcuna ulteriore contribuzione aggiuntiva, nonché grazie all’abbattimento del costo della Naspi. Inoltre, il contratto di espansione, pensato dal legislatore come strumento di reindustrializzazione e riorganizzazione, è direttamente finalizzato anche all’inserimento di nuove professionalità in azienda, nonché alla riqualificazione del personale in organico, tramite specifici piani da porre in essere. Di contro, tuttavia, gli operatori del settore non hanno potuto fare a meno di notare come lo scivolo pensionistico previsto dall’Isopensione, risulti meno «burocratizzato» del contratto di espansione, in quanto necessita, per il suo perfezionamento, della semplice stipula di un accordo con le organizzazioni sindacali e non anche del confronto con il ministero del Lavoro.
L’esperienza dei prossimi mesi ci dirà se tale restyling del contratto di espansione ha centrato l’obiettivo di rendere maggiormente appetibile per le aziende lo strumento; a oggi, ha avuto sicuramente il merito di aumentare lo spettro delle possibilità a disposizione delle strutture HR per agevolare il ricambio generazionale. Questo, in un periodo storico segnato da difficoltà strutturali per le aziende, rappresenta un’opzione da considerare con attenzione, soprattutto nell’ambito di piani di riorganizzazione, sviluppo e rilancio, che ogni impresa in Italia dovrà approntare nei prossimi mesi per vincere le sfide che attendono l’intero tessuto socio-economico.