Lunedì 08 Settembre 2025 | 10:07

Bari, chiede i referti del compagno morto, Asl e Tar: «Per la legge non ha diritto»

 
Isabella Maselli

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Isabella Maselli

Bari, chiede i referti del compagno morto, Asl e Tar: «Per la legge non ha diritto»

La donna voleva le cartelle cliniche per valutare eventuali «profili di responsabilità medica». Ma le dicono: «La convivenza non è sufficiente a fondare il diritto all’accesso ai documenti sanitari»

Lunedì 08 Settembre 2025, 07:05

BARI - L’accesso alle cartelle cliniche del compagno le era stato negato dalla Asl e poi anche dal Tar, a cui la donna si è rivolta, perché di fronte alla legge «la relazione di convivenza affettiva non è da sola sufficiente a fondare il diritto all’accesso alla documentazione sanitaria».

La vicenda inizia a gennaio 2024, quando dopo il decesso del compagno, la donna chiede le cartelle cliniche di ricovero nell’ospedale San Paolo e nel Di Venere di Carbonara, i referti, gli esami strumentali diagnostici (elettrocardiogrammi, ecocardiogrammi, analisi ematiche, esami radiologici digitali, lastre radiologiche), le terapie, gli interventi ai quali l’uomo era stato sottoposto, il diario medico ed infermieristico, il certificato necroscopico, «al fine di valutare eventuali profili di responsabilità medica». Due mesi dopo, a marzo 2024, arriva il diniego, confermato dalla Asl a novembre. La donna, a quel punto, fa ricorso ai giudici del Tar, chiedendo che venisse riconosciuto il suo «diritto all’accesso alla documentazione sanitaria». Secondo i giudici il ricorso è «infondato» perché «i diritti relativi alla conoscenza dei dati personali relativi a persone decedute sono riconosciuti solo ai soggetti che abbiano un interesse proprio, o agiscano a tutela dell’interessato, in qualità di suoi mandatari, ovvero per ragioni familiari meritevoli di protezione». In questo caso, «la Asl ha ricevuto richiesta di accesso dalla ricorrente, che si qualifica quale “convivente more uxorio”». La donna, però, evidenzia il Tribunale amministrativo, «non è mai stata formalmente indicata né riconosciuta dal paziente in alcuna delle sedi di ricovero come persona di fiducia o quale referente per ricevere le informazioni sul suo stato di salute». Anzi, durante i ricoveri «il paziente ha espressamente indicato le figlie quali soggetti da contattare, destinatari del consenso informato». Una circostanza che i giudici ritengono «rilevante», in quanto «costituisce espressa dichiarazione della volontà del paziente». Né, secondo il Tar, «può valere in senso contrario la documentazione prodotta dalla ricorrente, tesa a dimostrare l’esistenza di una convivenza stabile e duratura».

In altre parole, «l’interesse invocato dalla ricorrente, pur potenzialmente rilevante ed in astratto meritevole di tutela, non ha valenza ai fini della normativa in materia di trattamento dei dati personali, - spiega il Tar - in quanto risultano non dimostrate le pretese “ragioni familiari” da tutelare, non essendo nemmeno certa la convivenza more uxorio».

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