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Signore: «Dare un senso al vecchio continente»

 
Giacomo Fronzi

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Giacomo Fronzi

Signore: «Dare un senso al vecchio continente»

Il 9 aprile di dieci anni fa Mario Signore ci ha lasciati: ha dedicato gran parte della sua vita alla ricerca filosofica e all’insegnamento

Lunedì 31 Marzo 2025, 06:19

Il 9 aprile di dieci anni fa Mario Signore ci ha lasciati. Ordinario di filosofia morale di lungo corso, studioso di fama internazionale, Signore ha dedicato gran parte della sua vita alla ricerca filosofica e all’insegnamento, formando decine di studentesse, studenti, dottorande e dottorandi, in particolare nell’ateneo leccese. A chi, come me, ha avuto la fortuna di averlo come guida, ha lasciato, tra le altre, almeno due rilevanti eredità intellettuali: la pratica del “dialogo tra i saperi” e della collaborazione interdisciplinare e la ricerca-rifondazione di una “responsabilità del pensare” da esercitare anche nella polis. 

I principali eventi internazionali del recente passato hanno messo l’Europa di fronte a nuove e complesse sfide, ma anche dinanzi alle proprie responsabilità. Ed ecco che il pensiero di Signore torna più attuale e utile che mai. In uno dei suoi ultimi libri, Lo sguardo della responsabilità (Studium 2006), un capitolo centrale è dedicato proprio a una riflessione sull’Europa. Il riferimento allo spirito europeo non è affatto casuale, anzi, è indice di un’attenzione particolare che il filosofo rivolge al nesso tra crisi dell’uomo e crisi europea, nonché alla responsabilità “storica” dell’Europa. Lungo la via già tracciata, all’inizio del secolo scorso, da Husserl (il quale faceva sostanzialmente coincidere la dilagante crisi del “senso” con la crisi dell’Europa), Signore riprende il tema della necessità di un rinnovamento della cultura europea anche, e soprattutto, a partire dalla presa di coscienza «della pluralità delle prospettive culturali variamente caratterizzate» (p. 50) che denota, oggi più che mai, quell’ambito culturale, ancor prima che geografico, che è l’Europa. Recuperare e tematizzare il “vecchio continente”, considerando tanto le sue radici nel pensiero e nella civiltà greca classica quanto la crisi che nel Novecento l’ha investito drammaticamente, significa tematizzare l’Europa «come “luogo della responsabilità”» (p. 157).

Un’analisi di questa natura non può fare a meno di partire da ciò che dell’Occidente ha costituito il seme dal quale sono germogliati la filosofia e la scienza, punti di partenza dello straordinario progresso culturale e tecnico dell’umanità: il pensiero razionale. «La civiltà europea – scrive Signore – è l’unica che abbia sviluppato (direi fino alle estreme conseguenze) un concetto di scienza dai o attraverso i suoi pensieri filosofici. Questo può dirsi il risultato della filosofia europea, che ha inizio con i Greci» (p. 158). Tuttavia, se, per un verso, non si può che attestare che gli straordinari sviluppi dell’Occidente vadano messi in relazione diretta con il progresso tecnico e scientifico, per altro verso, con lo stesso grado di realismo, va riconosciuto che la scienza ha fatto aumentare le possibilità di distruzione della vita, in tutte le sue forme. Secondo Signore, è improprio «l’atteggiamento che farebbe rimpiangere i fasti della storia europea celebrati nei luoghi di nascita della cultura classica, innanzitutto perché è proprio l’Europa che deve scoprire ed è in Europa che vanno rilevate le responsabilità di questo irrefrenabile movimento verso la tecnicizzazione del mondo umano […]. Solo gli europei sono in grado di porsi domande sull’origine della crisi, perché, appunto, proprio dalla loro storia provengono i presupposti di questa crisi» (p. 159).

Ma cosa si può opporre a questo naufragio della soggettività? A chi spetta il compito di recuperare e restituire il “senso”, «inteso come unità della vita in cui la ragione non è più funzione, ma è mediazione nella continua ricerca dei sensi della vita, nella comunicazione reciproca tra i soggetti» (p. 15)? Secondo Signore la risposta non può che essere questa: l’uomo stesso. Dunque, si rivela prioritario il recupero del soggetto come unico attore delle dinamiche del mondo, ma non più inteso in termini assoluti e irrelati, ma risemantizzato «nel confronto con l’istanza della complessità e della “relazionalità”» (p. 16), alla ricerca di un nuovo antropocentrismo che poggi «sulla responsabilità verso il mondo, fondata su quell’apertura relazionale capace di convertire l’uomo da padrone a amico dell’universo e “di tutto ciò che contiene”» (p. 217).

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