Domenica 19 Ottobre 2025 | 22:54

Pane e pupazzi: alla conquista del mondo

Pane e pupazzi: alla conquista del mondo

 
Pasquale Bellini

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Pasquale Bellini

Pane e pupazzi: alla conquista del mondo

Domenica 19 Ottobre 2025, 18:52

Erano alti alcuni metri, i pupazzoni colorati che venivano fuori dal Teatro Regio di Parma, nel marzo del 1968: fuggivano da quel bel teatro all’italiana rosso e dorato di poltrone, stucchi e velluti. Avevano la faccia da clown ridenti, buffi stracci come vestiti, muovendosi lenti e oscillando a strappi, tutto un po’ sospeso e inquietante: il Bread and Puppet Theatre, da New York (fondatore Peter Schumann nel ‘61) inscena il suo “pane e pupazzi” per le strade e le piazze d’Europa, anzi il pane sotto forma di pagnotte è offerto davvero agli spettatori, alla fine dell’happening. Via, via dal chiuso dei teatri di borghese tradizione, a conquistare la “rossa primavera” delle piazze, delle strade! Sogni, utopie, presunzioni anche, ma pure rinnovamento di linguaggi e repertori, a contatto non con la stantia polvere di palcoscenico, bensì con l’aria vera e frizzante delle città, del mondo. In quegli anni (1965 e oltre) fu anche in giro per l’Italia, oltre al Bread and Puppet di quell’episodio a Parma (Festival europeo di Teatro Universitario) nientemeno che il Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina. La valorosa compagine del Cut/Bari infatti, presente a quel Festival con un Romeo e Giulietta e la peste (pensata e politica rivisitazione da Shakespeare, regia di Michele Mirabella) si era corroborato dalla visione, a Bari, del Living in Mysteries and Smaller Pieces (‘66, Hall Hotel Oriente) poi in Antigone e in Frankenstein (‘67, Piccinni). Il “teatro fuori dai teatri”, nelle piazze e nelle strade, in luoghi cosiddetti alternativi (in genere scomodissimi!) quali palestre, mense di studenti o lavoratori, più altre arrangiate ribalte, rispondeva all’esigenza di liberare il teatro non solo dal peso di contenuti e testi tradizionali, ma anche dagli orpelli scenico-architettonici convenzionali, gabbia di forme e vincoli da abbattere in toto. Nella strada e nella piazza, in primis, si tende a recuperare un rapporto immediato e non mediato con la gente, con il “popolo”. Memorie e recuperi, anche, di antiche giullarate, di cortei cittadini fracassoni e carnevaleschi, in irridente capovolgimento di valori e rapporti sociali, a sberleffo della morale corrente, quella sessuale in primis. Ma ciò, l’allegria dissacrante, in verità di rado prevalse in quel “controteatro” che anzi fu più spesso arcigno e impettito, nel propugnare austeri valori socio-politici. Anche i cosiddetti happening (che in genere avevano poco di spontaneo, parecchio di preordinato e previsto) coinvolgevano la gente generalmente in banali mesti cortei, con poca chance di sorgiva spontaneità. Come dire che spesso l’impegno e l’alternativa si traduce in ripetizione di nuovi rituali, di nuove parole d’ordine, appunto... d’ordine.

Quanto al gruppo Bread and Puppet, ricordo che ebbe un epigono nell’italiana compagnia Pupi e Fresedde, nata nel ‘76 a Firenze con Angelo Savelli di madre calabrese e Pino Di Vittorio, tutto pugliese. Collaborarono col Bread, un lavoro fu The ballad of Masaniello. Pupi e Fresedde ha poi realizzato anche un disco, La terra del rimorso, che in memoria di Ernesto De Martino percorre testi e canti del Salento. Da un bel po’ di tempo poi Pupi e Fresedde si è “ricoverato” in un teatro al chiuso, il Teatro di Rifredi a Firenze. La strada stanca.

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