Domenica 19 Ottobre 2025 | 22:52

I bambini sono sempre creativi: cadere e rialzarsi

I bambini sono sempre creativi: cadere e rialzarsi

 
Dorella Cianci

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Dorella Cianci

I bambini sono sempre creativi: cadere e rialzarsi

Domenica 19 Ottobre 2025, 18:50

Oggi che cosa avrebbe detto Maria Montessori? C’era un tempo, non davvero lontano eppur apparentemente lontanissimo, in cui il pomeriggio dei bambini aveva il suono dei palloni. Aveva anche le voci che si chiamavano da un portone all’altro, dei gessetti che segnavano il confine dei campi di gioco sui marciapiedi e pantaloncini sporcati dall’asfalto. Era il tempo in cui le strade dei quartieri non erano solo vie di passaggio e non erano neanche i «non luoghi» dei b&b, ma veri e propri spazi di socialità chiassosa. Si trattava di giochi, eppure non era solo un gioco. Giocare “fuori” significava, implicitamente, cose ben più complesse: imparare a negoziare, ma accettare anche di cadere e rialzarsi. Oggi quelle stesse strade sono comunque caotiche, ma è un rumore diverso. È un rumore contornato di porte dei cortili che restano chiuse, e il gioco – quello libero, non organizzato, non mediato da adulti o schermi – è diventato un’esperienza rara. I bambini sono sempre bambini. I bambini sono sempre creativi, sono sempre liberi e vorrebbero essere protagonisti del loro tempo: siamo noi adulti, in qualche modo, a esserceli persi dentro le regole della contemporaneità. Siamo noi adulti che abbiamo reso le abitudini profondamente più sedentarie, siamo noi che abbiamo pensato di farli vivere in ambienti più sicuri e invece abbiamo reso le loro giornate solo più asfittiche.

Riflettere sul tempo in cui si giocava in strada vuol dire riflettere sui cambiamenti sociali, che vanno ben oltre la semplice questione del divertimento. Tablet e smartphone sono diventati le nuove piazze? Assurdo da immaginare, eppure è qui che i bambini si incontrano, muovendosi in mondi virtuali che non sono creativi. Che tipo di socialità è questa? È una socialità che offre (forse) stimoli cognitivi e capacità di adattamento al linguaggio tecnologico, ma che riduce la dimensione della corporeità e la dimensione relazionale fatta di vere mani e vere braccia. Il “giocare insieme” si fa connessione e non presenza. E così che, pian piano, gli adulti hanno rovinato l’infanzia! Quando la piazza non era virtuale e la comunità era ben lontana dalle caratteristiche della “community”, si giocava per strada guardando negli occhi l’amico, guardando dove finiva il pallone e magari ci si poteva anche vantare davanti a quella “lei”, che aveva colpito quello sguardo.

Il gioco in strada non era solo passatempo: era educazione sociale. L’assenza degli adulti permetteva di costruire un microcosmo di regole proprie, di risolvere conflitti, di sperimentare la libertà, coi suoi limiti e coi suoi disagi. Forse era più faticoso giocare per strada, mettendoci la faccia, e provando a inserirsi in un gruppetto che giocava alla “campana”, ma dietro quella presa di coraggio del farsi accettare si nascondeva tutta la sfida della crescita. Si osava mettendoci la faccia. Il gioco in strada era un laboratorio di cittadinanza. Oggi, invece, il tempo dell’infanzia tende a essere pianificato e supervisionato dagli adulti: corsi, sport organizzati, doposcuola. I bambini vivono agende serrate e paure non loro. Non è passatismo tutto questo, né nostalgia, ma consapevolezza che l’uomo contemporaneo sta provando a snaturare l’infanzia, omologando a se stesso il bambino.

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