Se i giochi di strada rimandano all’innocenza infantile è giocoforza che sullo schermo creino anche allarme e inquietudine, o paradossale paura, evocando spesso il senso di colpa insito nello spettro della contemporaneità. L’effetto di un mondo retrodatato, allegro, giovanile e gioviale rientra nella percezione che se ne ha con il (dis)senno di poi e investe di leggerezza e nostalgia l’idea stessa del divertimento povero e remoto, facilmente praticabile o comunque alla portata di tutti.
I film, costituzionalmente immateriali, affidandosi a una tecnica che ne perpetua la pura immaginazione, sviluppano una relazione inscindibile con i fantasmi. E quei giochi ne sono l’esplicito, allusivo contrappunto. Donde il patto lugubre: allo sguardo dello spettatore inerte e imprigionato in poltrona al buio le tracce preoccupanti di una motilità realistica, naturale, semplice e suggestiva, sono foriere di sventure. Il Neorealismo insegna. Non è forse vero che per star dietro a uno dei giochi di strada davanti all’ingresso della santona che in Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica il protagonista si distrae una prima volta dalla bicicletta alle sue spalle? Lì per lì gli dice bene, ma la seconda volta no. Molto peggio è andata al bambino di Germania anno zero (1947) di Roberto Rossellini che si sofferma a osservare dei coetanei alle prese con uno di questi intrattenimenti consumati tra le rovine della capitale tedesca semidistrutta. E questo momento di distrazione prelude al tragico gesto finale, marchio d’infamia lanciato a tempo indeterminato alle generazioni ree delle guerre. I conflitti devastanti inflitti dall’alto, sintomo dell’immaturità irredenta degli adulti e del progresso che cancella l’ingegno giocoso elementare, sono agli antipodi del clima di umile e condivisa normalità che parte gioiosamente e giocosamente dal basso.
Le proiezioni filmiche hanno recepito in tante occasioni l’antinomia dei giochi distanti, usata per restituire la quotidianità e la spensieratezza nei bambini, raccontare il modo di stare nel mondo a modo loro, sicuri; insomma rappresentarli spontaneamente in azione, vivaci, presi da regole competitive ma piacevoli. L’impossibilità stessa di giocare per giocare, senza speciali strumenti, così, alla giornata, rappresenta quindi un richiamo al dovere dei tempi di preservare i più piccoli. In contesti di assoluta gravità storica le pratiche di giocatori inermi sui marciapiedi, nelle piazze, nei cortili, sul selciato o in qualsiasi spazio pubblico, hanno assunto valenza di grave preoccupazione o predizione di un futuro fosco, tanto che M – il mostro di Düsseldorf (1931) fa addirittura specie vedere i bambini giocare, perché si coglie da subito il senso di pericolo incombente, su larga scala. Non a caso dopo un processo sommario condotto dai peggiori lestofanti riuniti, emblematici di uno Stato criminale in procinto di prendere il potere, addirittura ai danni del tragico, disturbato e inerme assassino seriale di minori, il film si chiude con l’ammonimento pragmatico dopo il verdetto della corte lanciato da una mamma in lacrime tra altre: «Questo non riporterà in vita i nostri bambini. Bisogna vigilare meglio sui nostri figli».