Arte e attivismo si incontrano al bivio delle elezioni presidenziali che plasmeranno il futuro degli Stati Uniti: si chiama Artists For Democracy 2024 il progetto guidato da People For the American Way (Pfaw, un gruppo di difesa progressista negli Stati Uniti), che sta lavorando con artisti di fama mondiale per creare opere d’arte che mobilitino gli elettori contro Trump.
I protagonisti scelti per innescare la chiamata alle urne e fare rumore sono firme del calibro di Shepard Fairey, CarrieMae Weems, Beverly McIver, Titus Kaphar, Wangechi Mutu, Cindy Sherman, Hank Willis Thomas, Jerey Gibson, Ann Hamilton e molti altri contrari alla politica di Donald. “Difendi la democrazia dal fascismo” è uno dei messaggi strillati nelle quattro nuove opere dell’ormai iconico Shepard Fairey, lo street artist salito alla ribalta internazionale nel 2008 dopo aver realizzato il ritratto di Barak Obama, “Hope”, e che ora rilancia in prima linea i suoi strilli prendendo posizione e facendosi portavoce del gruppo di artisti divergenti. Insieme a Carrie Mae Weems, membro del consiglio di amministrazione di Pfaw, Shepard Fairey coordina e riunisce gli artisti che hanno aderito alla campagna per riscattare i concetti di libertà e giustizia, si tratta di personalità che nella loro ricerca hanno utilizzato l’arte come un megafono e una sveglia puntata sull’ora di tutti, per contribuire con l’attivismo creativo alla presa di coscienza degli elettori chiamati a partecipare al discorso politico e al dialogo culturale.
Tra le opere di Fairey c’è il ritratto del produttore televisivo Norman Lear, morto nel dicembre 2023 all’età di 101 anni, un omaggio alla sua eredità e alla fondazione di Pfaw, più di 40 anni fa, per contrastare l’estremismo di destra e difendere le libertà stabilite dalla Costituzione degli Stati Uniti. L’arte affronta così le questioni scottanti: l’aborto ha ispirato opere che parlano di assalto alla libertà riproduttiva, invitando a votare, Beverly McIver parla di giustizia razziale e di genere nel suo lavoro «Vote Black Beauty».
Ma la campagna Artists For Democracy 2024 è potente soprattutto sui cartelloni pubblicitari, sui muri delle strade. Il celebre street artist Obey ha realizzato, infatti, un poster per supportare Kamala Harris nella sua corsa alla presidenza americana – il grande motto “Forward”, Avanti, fa il verso a quello di Obama, “Hope”.
L’ artista urbano statunitense Jacob Thomas, invece, ha avviato una campagna satirica dedicata alle
accuse espresse durante le presidenziali.
Thomas scatenato, senza filtri e bavagli, ha tappezzato le città americane di manifesti che inquadrano un Trump truccato da Mao per un effetto warholiano, marchiato dalla parola “Dictator”, che rimanda a quella intervista rilasciata dal candidato repubblicano a Sean Hannity della Fox News l’anno scorso, quando dichiarò che non si sarebbe comportato da dittatore “tranne il primo giorno” di una eventuale seconda amministrazione. Non è passato inosservato neanche il Trump/Donald Duck – abbastanza Paperino. Con riferimenti espliciti a Stalin e Mussolini, Thomas ha accusato Trump “di aver mentito all’America, ma non riesce a nascondere la sua vera natura di tiranno completo. Lo scopo di questo attivismo artistico è motivare i democratici a votare perché se non lo facciamo rischiamo di perdere queste elezioni cruciali e noi non possiamo vivere in un Paese guidato da un dittatore.” Si è messo in marcia Thomas, in prima persona, impugnando pennello e spalmando colla per diffondere manifesti senza risparmiarsi, e con lui molti altri artisti che alzano il volume policromo di contrarietà, sovvertendo quell’ordine di cose che relegano la street art all’ultimo posto tra quelli riservati ai subalterni della cultura e degli invisibili nel dibattito politico. A quanto pare tanto ultima non è, quest’arte di strada. Invisibile e muta, neppure.