Riforma della Giustizia, ma che sia veramente tale, non già quella confusa da ogni donde politico. Un siffatto fondamentale evento non può affatto esaurirsi (e forse neppure cominciare) con la revisione costituzionale approvata in Parlamento, ma con un consenso non sufficiente (maggioranza di terzi conseguita in entrambe le Camere nella seconda votazione prevista) ad evitarle l’esame referendario confermativo di cui all’art. 138 della Costituzione. Una esame popolare difficile da superare, tanto da avere provocato persino cadute del Governo proponente preponenti precedenti revisioni, così come accadde a Matteo Renzi a seguito di quello celebrato il 4 dicembre 2016.
Al riguardo, sono stati interessanti gli spunti che ha offerto l’assemblea dell’ANM celebratasi il 25 ottobre scorso nell’Aula Magna della Cassazione, con Gratteri che ha stimolato i giudici a mobilitarsi al di là dei soliti «salotti giuridici».
Riforma della Giustizia, tuttavia, non vuol dire solo separazione delle carriere tra i PM e i magistrati giudicanti. Richiede tutt’altro impegno di quello motivato dalle esperienze vissute dal sistema che decide. Quello che ha la tendenza a difendersi dalle incursioni della magistratura requirente, penale e contabile, a prescindere dalla giustezza motivazionale delle indagini e dalle misure adottate. La Riforma della Giustizia, quella vera, è quella riconducibile a diversi e complessi interventi legislativi ordinari e difficili decisioni politiche volti entrambi ad ottimizzare l’essere terzo potere dello Stato, attraverso la riscrittura (difficile) del funzionamento del sistema giudiziario. Deve avere un obiettivo, quindi, mirato a rendere il migliore pratico esercizio delle tutele giudiziarie, che vada ben oltre la digitalizzazione dei servizi online per cause civili, l’accesso ai registri e i processi a distanza. Insomma, esso va ripensato nella sua interezza al fine di rendere la pronuncia del Giudice più rapida e efficiente, prioritariamente espressione di un sistema più equo.
Da qui, la necessità di riclassificare, nel penale, i diversi reati minori funzionale a ridurre il numero dei detenuti con conseguente risparmio «alberghiero» da destinare ad istruzione riabilitativa, abilitata a rilasciare crediti di buona condotta da spendere in occupazione lavorativa. Stessa cosa dovrebbe avvenire nella Giustizia contabile, esercitata a mente della Costituzione dalla Corte dei conti, che dovrà tuttavia riflettere sul suo autogoverno votato a garantire più omogeneità nella consistenza e qualità degli accertamenti, negli approfondimenti istruttori e, soprattutto, nella analogia dei giudizi. Tutto questo dovrebbe essere fatto con una discussione profonda su come aumentare la trasparenza e come introdurre responsabilità degli agenti nel sistema giudiziario e di polizia, anche penitenziaria.
Ovviamente tutto questo dovrà essere riscritto abbandonando le vecchie stereotipie del passato finalizzate a rivendicare da decenni, arrivando a distinguere i colori della toga, una svolta radicale intesa a mettere in discussione l’attuale esercizio del Giudice. Quel prezioso strumento umano divenuto tale per concorso pubblico, autodisciplinante e non affatto dipendente dal potere politico, mettendo da parte ogni dubbio recondito in tale senso di pervenire ad ogni sorta di dipendenza dei PM dagli Esecutivi. Ma riforma della giustizia vuole dire anche ben altro. Principalmente, trovare il modo di evitare ogni forma di condizionamento della politica sulla magistratura, qualunque essa sia. In via primaria, necessiterà perdere l’abitudine consolidata, condivisa tra le parti in gioco, di riempire seggi governativi, nazionali e ragionali, di giudici sottratti così ai loro compiti istituzionali, requirenti e giudicanti. Un vezzo che ha fatto incrementare sia l’offerta istituzionale che la domanda togata in tal senso, tanto da vedere in tutte le sedi che contano, a cominciare dall’esercizio dei capigabinetto, magistrati impegnati a risolvere fattispecie, tante delle quali dribblando addirittura leggi ostative esistenti.
Tutto questo dovrebbero essere fatto con un netto accantonamento delle abitudini del legislatore di intervenire a gamba tesa sull’esistente, fondate sulle strumentali rendicontazioni (tra indagati e condannati che non assume alcun significato senza tenere conto delle archiviazioni intervenute e le prescrizioni di reato godute) cui si è ricorso, per esempio, per abrogare il delitto di abuso d’ufficio. Non solo. Ma anche non generando pericolose attenzioni spendibili nell’ambito della Giustizia pronunciata nelle aule, specie quelle individuabili in alcuni dicta di TAR e Sezioni di controllo della Corte dei conti, spesso elusive di cagionare distrazioni ai conducenti














