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Nessuna visione del futuro: tra la politica pugliese si aggira lo spettro dell’astensionismo

Nessuna visione del futuro: tra la politica pugliese si aggira lo spettro dell’astensionismo

 
Biagio Marzo

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Biagio Marzo

I ballottaggi per pugliesi e lucani: si torna al voto in undici città

La partecipazione al voto è in caduta libera, e la Puglia non farà eccezione: la distanza tra elettori e istituzioni si è fatta abissale dopo vent’anni di governo ininterrotto del centrosinistra, tra personalismi esasperati e, nello stesso tempo, un’opposizione all’acqua di rose

Mercoledì 29 Ottobre 2025, 14:00

Un fantasma si aggira in Puglia: quello dell’astensione. Il 23 e 24 novembre, più che una sfida tra Antonio Decaro e Luigi Lobuono, sarà un confronto tra la politica e la disaffezione dei cittadini. La partecipazione al voto è in caduta libera, e la Puglia non farà eccezione: la distanza tra elettori e istituzioni si è fatta abissale dopo vent’anni di governo ininterrotto del centrosinistra, tra personalismi esasperati e, nello stesso tempo, un’opposizione all’acqua di rose. Sotto molti aspetti, un’opposizione di Sua Maestà. La candidatura di Decaro, arrivata dopo mesi di impasse, ha segnato la fine di un ciclo. La sua decisione di non volere in lista Michele Emiliano e di aprire invece a Nichi Vendola è stata la sintesi di una rottura e di un compromesso.

Emiliano paga i dieci anni di gestione del potere e un bilancio di governo controverso, con un apparato amministrativo appesantito e un civismo trasformatosi nel tempo in un contenitore indistinto di opportunismi. Prova ne sia che, nei mesi scorsi, non è riuscito ad avere una salda maggioranza nell’assemblea regionale: è stato un Vietnam. Vendola, invece, rappresenta la memoria di una stagione idealista, quella del «modello Puglia», oggi evocata più per nostalgia che per proposta.

Sul fronte opposto, la destra non ha mostrato maggiore coesione. La candidatura di Luigi Lobuono, imprenditore barese stimato ma poco conosciuto nel resto della regione, ne è la prova, arrivata all’ultimo momento: una scelta dettata più dall’urgenza di esserci che da una visione strategica. Il centrodestra, diviso tra gruppi dirigenti in competizione e leadership deboli, non è riuscito a proporsi come alternativa credibile. La proposta di candidare alcuni parlamentari di Fratelli d’Italia, poi evaporata, è la prova del nove delle difficoltà nel mettere in lista nomi competitivi. Solo e soltanto il senatore e segretario regionale della Lega, non candidando più Vannacci, dopo il disastroso risultato della Toscana, ha deciso di scendere in lista.

La cosiddetta «discontinuità» è rimasta, a furia di ripeterla, un gargarismo. Le esclusioni eccellenti parlano da sole: fuori Emiliano; Filippo Caracciolo, coinvolto in un’inchiesta su appalti e concorsi; Alessandro Delli Noci, fermatosi davanti a una vicenda giudiziaria dubbiosa che Decaro non ha voluto ignorare; e Stefano Lacatena, simbolo del trasformismo, transitato da Forza Italia al centrosinistra con delega all’Urbanistica. Paga per la sua disinvoltura, immaginando che la politica sia una sorta di liana da cui passare all’altra come un novello Tarzan.

Il rinnovamento, per la sinistra come per la destra, è stato più prudenziale che politico: evitare imbarazzi e segnare un confine con il passato. Un’operazione gattopardesca, con consiglieri regionali uscenti carichi di numerose consiliature. Le liste raccontano il resto. Decaro ne presenta sei e un’anticchia, Lobuono quattro e mezzo. Perché nel logo della Lega primeggia Alberto da Giussano, con la spada sguainata, ai cui piedi compare un Partito Socialista che spunta in ogni campagna elettorale come un fungo, insieme all’Udc e all’Unione di Centro, con lo scudo crociato democristiano. Una volta nemici giurati di Umberto Bossi, oggi improbabili alleati sotto lo stesso simbolo. Altrettanto, a sinistra, non mancano gli accrocchi: la coppia Sinistra Italiana e Verdi (AVS) e l’ultimo coniglio uscito dal cilindro, Avanti Popolari.

Non c’è più la pletora di sigle civiche dei tempi di Emiliano, ma fa capolino un disegno nuovo. Il civismo di allora si era trasformato in un Circo Barnum di candidature in cerca di collocazione; oggi Decaro tenta di ricostruire un Partito Democratico più strutturato e votato, capace di pesare al Nazareno. È un passaggio simbolico: la chiusura della lunga stagione personalistica di Emiliano e l’inizio, forse, di una fase istituzionale più ordinata, con il Pd a vocazione maggioritaria e a capo della regia politica. Ma il rischio è che la Puglia viva una campagna elettorale senza respiro politico. Nessuno dei due candidati ha finora tracciato una visione chiara sul futuro della Regione: sul destino della siderurgia, sull’industria turistica, sulla sanità, sullo sviluppo tecnologico. Tutto è concentrato sul presente, sulle alleanze, sui nomi. Finora il primum vivere ha sostituito il deinde philosophari. Speriamo che nei prossimi giorni l’ex sindaco Decaro e l’ex candidato sindaco Lobuono, già sconfitto da Emiliano, accendino finalmente il fuoco del dibattito. Il rischio che si corre — a parere di alcuni addetti del mondo politico e imprenditoriale ionico-salentino — è che, con l’elezione di uno dei due, si produca un «Baricentrismo»: una Puglia del Nord a scapito di una Puglia del Sud. Una sorta di «linea del Volturno» che divide la regione a due velocità, con la penalizzazione delle province di Brindisi, Lecce e Taranto. Bell’e buona dietrologia tanto al chilo, con la certezza che non sta una simile ipotesi né in cielo né in terra. Il voto del 23 e 24 novembre segnerà più che una competizione elettorale: sarà la verifica di vent’anni di governo e di un’intera cultura politica, quella che da Vendola a Emiliano ha dominato la Puglia tra idealismo e gestione del potere. Decaro ne eredita luci e ombre, provando a ricucire un tessuto sfilacciato. Ma se a prevalere sarà l’astensione, quel fantasma che si aggira tra i palazzi e le piazze pugliesi avrà finalmente un volto: quello di una democrazia che non trova più voce, e di una politica che ha smesso di parlare alla sua gente.

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