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Direttrice, signora, maestro: quanto conta la lingua nelle battaglie di genere

 
Fernanda Fraioli

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Fernanda Fraioli

Direttrice, signora, maestro: quanto conta la lingua nelle battaglie di genere

Ecco, è proprio questo che non ci piace più, ma non soltanto perché si ritorna ad una declinazione al maschile laddove il termine è declinabile al femminile e, quindi, agevolmente fruibile

Sabato 03 Febbraio 2024, 13:00

All’inizio la polemica sembrava essere partita per il verso giusto. Bonolis che aveva apostrofato la Direttrice di un’orchestra con un (inusuale) «signora» a cui lei aveva risposto per le rime precisando (correttamente) non soltanto con la declinazione al femminile, ma con l’indicazione della qualifica e dimostrandosi - col sorriso di circostanza, per carità - piuttosto contrariata per sentir dare della «sexy» ad una sua percussionista con il seguito di commento, di dubbio gusto, da parte del presentatore con riferimento ad un non ben precisato oggetto che «ci andava a percuotere».

Lo avevamo salutato con grande favore perché la Direttrice aveva fatto cosa buona e giusta a rivendicare l’uso corretto di un termine indicante la professione svolta, precisandone la declinazione al femminile. D’altronde non era un attacco di becero femminismo, ma la coerente continuazione di quanto fatto dall’8 marzo 2019, data di nascita (peraltro, non casuale) dell’orchestra al teatro Rossini di Pesaro.

Una direttrice d’orchestra ed una musicista e direttrice artistica che suonava. Olimpia, un complesso sinfonico completamente al femminile fortemente voluto perché, per espressa dichiarazione della Direttrice Perrotta, «attraverso la musica volevamo veicolare messaggi nei quali crediamo: tematiche di rappresentatività al livello femminile in alcuni settori della musica, come la direzione d’orchestra o le famiglie di strumenti dove numericamente siamo meno presenti, come ottoni, tromboni, bassi tubi, che, per tradizione, sono visti in mano a uomini».

Un’indubbia virata verso ed a favore dell’universo femminile attraverso cinque anni di attività nei quali hanno dichiarato di portare avanti temi ancora scottanti perché declinati al femminile ed a creare una collaborazione con l’omologa struttura afgana che non poche soddisfazioni ha regalato.

Da tutto questo, l’inevitabile successo coronato con l’inaugurazione di Pesaro Capitale della Cultura con cui è in programma la continuazione della collaborazione appena iniziata, ma sempre tese verso l’obiettivo di creare ponti con altre realtà femminili parlando dei loro progetti musicali, i concerti che, per espressa affermazione della Direttrice, «non sono mai fini a sé stessi, ma portano un messaggio. Sul palco portiamo tematiche sociali legate alla parità di genere e ai diritti umani, come il diritto allo studio e alla musica».

E ci verrebbe da aggiungere, anche il riconoscimento per un’attività che da sempre è stata un feudo maschile e nello svolgimento della quale nessun Direttore d’orchestra ha dovuto fare precisazioni quali quelle della Perrotta o dover sorridere perché sono state apprezzate le qualità fisiche di un appartenente all’orchestra, pur se trovate sconvenienti. E mai noi utenti, più o meno melomani, abbiamo dovuto assistere a siparietti quali questi per lungo tempo.

Orbene, tutto ciò premesso, l’ulteriore precisazione fatta dalla Direttrice a valle della polemica iniziale, ci ha, però, lasciati un minimo interdetti. Se l’inizio ci era piaciuto per la caparbia difesa ad oltranza dell’appellativo di Direttrice, il seguito si è configurato come una resa anche se non incondizionata, come un venire a patti che lasciano ancora degli spazi di accomodamento con l’ingresso di appellativi al maschile. Il riferimento è al commento postumo della Perrotta che, nel ricordare che il linguaggio è importante e che lei è una direttrice, aggiunge che «tra maestro e signora, scelgo maestro».

Ecco, è proprio questo che non ci piace più, ma non soltanto perché si ritorna ad una declinazione al maschile laddove il termine è declinabile al femminile e, quindi, agevolmente fruibile, quanto per un’incoerenza che ha il sapore di resa delle armi a fronte di polemiche e sollecitazioni esterne che neppure dovrebbero avere il privilegio di esistere.

La Perrotta ipotizza la necessità di scegliere tra due appellativi uno dei quali pertinente, perché rappresenta la funzione, anche se al maschile, e l’altro spurio perché generico ed avulso da qualunque contesto, anche se al femminile. Il punto allora è proprio qui, nel non dover scegliere.

Ci saremmo aspettati che la scelta cadesse su un termine tra Direttrice e Maestra, non già tra un maschile, appropriato alla funzione, ed un femminile generico, che esula dalla funzione. In un mondo dove per l’assenza di termini declinati al femminile - dove una giudice, una presidente, una questore o una colonnello devono accontentarsi solo dell’articolo che le contraddistingue come donne - laddove, il termine al femminile, invece, esiste senza contestazione e/o esitazione alcuna, sarebbe bene usarlo senza alternative di scelta.

D’altronde, mai abbiamo sentito rivolgere a Muti, Baremboim, Metha o Oren una domanda su come desiderassero essere appellati, dopo avergli rifilato un «signore» che, se la lingua italiana non è un’opinione, ancora è l’equivalente, di tono più elevato e gentile, di essere umano, ma pur sempre in senso generico.

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