Un esempio per il mondo. Nicolas Sarkozy, presidente della Repubblica francese dal 2007 al 2012, è in carcere per scontare una pena detentiva di cinque anni. Condannato per associazione per delinquere, benché assolto dalle accuse di corruzione passiva e appropriazione indebita riguardanti il presunto finanziamento di Gheddafi per le presidenziali del 2007. Una pena effettiva, quindi, che costituisce un evento raro, per non dire unico, in un Paese del Vecchio continente, fatte le dovute eccezioni per Hashim Thaçi, presidente del Kosovo 2016–2020, e per Slobodan Milošević, presidente della Repubblica federale di Jugoslavia/Serbia e Montenegro dal 1997al 2000, in galera per crimini verso l’umanità e di guerra.
Questo non vuole affatto dire che la Francia è particolarmente ammalata di maladministration, sebbene anche un intervenuto giudizio di colpevolezza per appropriazione indebita di fondi pubblici Ue emesso nei riguardi di Marine Le Pen. Significa che ha una Giustizia più «coraggiosa», forte con i forti e non solo con i deboli, così come pretendono le Costituzioni democratiche.
Per ragionare sul tema occorre ragionare su ciò che altrove accade diversamente, impegnandosi poi ad affrontare il tema delle cause che ostano ad un corretto esercizio della giustizia in ambiente domestico. Allo stesso modo è corretto affrontare la distinzione tra garantismo e giustizialismo, spesso usata a fini di (il)legittima difesa. Una tale disputa letteraria ha messo da parte ogni genere di valutazione obiettiva da esercitare nell’ambito delle pratiche politiche.
In un siffatto ambito viene sempre di più fatta venir meno la sfera argomentativa riferita alla questione morale, allontanando sempre di più le pratiche politiche dai criteri dell’etica personale e della concretizzazione del soggetto agente secondo moralità.
Da qui l’influenza negativa nella messa a terra delle tecniche di governabilità, che prediligono spesso il governo di sé piuttosto che quello degli altri, intesi come collettività.
Certamente, nel Belpaese, è vigente il giudizio fondato su tre gradi di scrutinio progressivo, si è innocenti sino alla sentenza della Cassazione, ma la vicenda della Francia insegna altro. Soprattutto, tenendo conto delle due condanne, oggi appellate, dell’ex premier d’oltralpe per l’«affaire Bismuth» (afferenti a illegittime intercettazioni) e per il «caso Bygmalion» (finanziamento della campagna elettorale del 2012), L’evento Sarkozy diventa esempio del corretto sindacato della magistratura sull’esercizio funzionale all’assunzione delle cariche, persino nei confronti di «monsieur le President». Finanche nei percorsi di indagine da affrontare per la candidatura e sulla prevalenza sugli avversari.
Le nuove forme per capitalizzare le più attuali leadership politiche, a prevalenza mediatica, fanno assumere ovunque atteggiamenti energici e impulsivi, in quanto tali bisognosi di finanziamenti che arrivano a valori esasperati. Da qui, è stata la ricerca del «banchiere» che ha fatto assumere a Sarkozy, una volta eletto, il soprannome di «hyperprésident» in netta contrapposizione alla solita compostezza presidenziale francese (su tutti, quella di Mitterrand e Chirac).
Questi esempi hanno costituito - e massimamente raggiunto il top critico in era trumpiana - la replica di tali brutte abitudini anche in terra nostrana, ove l’ipermedialità prevale su tutto, invadendo l’esercizio corretto dell’approccio alle cariche politiche e alla loro esecuzione pluriennale. La concretezza è sempre più fatua a dominare è lo spettacolo e gli influencer.
Dalle nostre parti ci si propone, si vince e si perde a prescindere dai cosiddetti carichi pendenti in senso lato, incuranti di ciò che un tempo significava essere totalmente «limpidi» come precondizione per affrontare l’agonismo politico. Questo avviene perché spessissimo si ha ragione del deciso abusato per la frequente sopravvenienza della prescrizione.