Su Current Biology, qualche tempo fa, è uscito un articolo scientifico sulla pandemia. L’autore è Ford Doolittle, un biologo evoluzionista e genetista che lavora ad Halifax, una piccola università della Nuova Scozia. Nell’articolo ci si chiede se «sarà possibile che questa pandemia possa generare un salto evolutivo».
Nella prima parte si descrivono quelle che nell’evoluzione vengono chiamate le major transition, durante le quali delle entità biologiche di livello inferiore si sono messe insieme per costituire delle realtà più complesse. È successo in tante situazioni diverse e riguarda anche lo sviluppo della socialità degli insetti e quella dei primati e umana. Queste grandi transizioni avvengono sempre «sotto minaccia»: possiamo tornare indietro.
Doolittle dice che la pandemia sta creando una divaricazione evolutiva perché possiamo rispondere alla minaccia di un agente patogeno o attraverso egoismo, tribalismo, nazionalismo oppure nel senso opposto: potremmo essere così bravi da rispondere a questa sfida sviluppando ancora di più la socialità, la collettività, politiche lungimiranti non solo efficaci contro il coronavirus ma anche per altre emergenze, come il cambiamento climatico.
Insomma, ci troveremmo in un punto critico dell’evoluzione: siamo su una cuspide.
Doolittle propende per l’ipotesi sociale/collettiva: «Forse unico modo per superare a questa crisi è iniziare a pensare e a comportarsi come quella singola specie che noi siamo, piuttosto che come tante tribù e nazioni individuali che lottano l’una contro l’altra».
Dobbiamo imparare a coltivare una coscienza di specie: essere consapevoli di essere un’unica specie e che risolvere problemi su scala globale tutela gli interessi di tutti. Il Covid-19 non guarda in faccia a nessuno, non riguarda una componente dell’umanità, ma tutta quanta. Così la risposta deve essere di tutti, non solo di una parte.
In Italia non si comprende ancora bene cosa stia accadendo. Ma il rischio che si intraprenda una strada involutiva c’è.Il discorso sembra complesso ma non lo è affatto. Abbiamo un problema bello serio. La variante Delta galoppa e pare diffondere una carica virale 1.260 volte più alta del Covid originale. Pensavamo, illusi, di esserne fuori, di avercela fatta, dimentichi di un campo di battaglia in cui sono rimaste quasi 130mila vittime. «Saremo migliori», abbiamo cantato dai balconi.
E invece stiamo aprendo un’autostrada a questa variante e a quelle che verranno, perché più il virus circola più muta. Perfino nel rigido e ipertecnologico Giappone è rimasto lettera morta l’appello degli scienziati al governo Suga, per una maggiore attenzione con le Olimpiadi alla gestione della pandemia. Macché, così i Giochi sono già diventati una gara a chi si ammala prima.
Di fatto siamo nei guai, più e peggio dello scorso anno, con il quadruplo dei casi rispetto a luglio 2020. È vero, gli ospedali sono liberi, si finisce meno intubati e si muore meno, ma solo perché adesso nel mirino ci sono i giovanissimi, mentre molti delle «categorie a rischio», hanno il doppio vaccino. Molti ma non tutti. E le previsioni per il futuro anche prossimo non sono proprio tenere se è vero che Pierpaolo Sileri, medico e sottosegretario alla Salute del governo Draghi, soprattutto uno dei pochi politici competenti messi al posto giusto, nell’intervista di oggi alla Gazzetta, prevede una strada non facile per la ripresa in presenza dell’imminente anno scolastico.
Come popolo siamo abituati ad avere tanti diritti, pronti a frignare appena ce ne toccano uno. Dimentichiamo gli altrettanti doveri, a cominciare da quello del rispetto per gli altri. E questo ci pone all’opposto della teoria di Doolittle.
Ci lamentiamo se a Mikonos, isola greca patria del fancazzismo e per questo molto amata dagli italiani, mettono il coprifuoco. Nessuno pensa che con un po’ di fantasia potremmo divertirci di giorno e dormire di notte.
L’allarme sta suonando forte ed è impossibile non sentirlo, come un antifurto che scatta nel silenzio di ferragosto. Tutto sta a come si reagirà a questa nuova ondata che si sta facendo largo nemmeno tanto timidamente. Al momento abbiamo fallito tutti: chi ci governa, a cui magari si chiede un po’ più di coraggio, e noi «cittadini comuni», artefici del nostro destino. Per ora no, non ci illudiamo, non siamo diventati migliori.