Lo dichiaro subito e a scanso di equivoci. Ho una formazione scolastica umanistica. Ho studiato, infatti, al liceo classico della mia città natale, Andria. Lì ho imparato il latino e il greco. Lì ho cominciato ad immergermi nella filosofia e nella filosofia sociale. Lì ho sviluppato sensibilità nei confronti del significato più autentico delle parole, partendo dalla loro etimologia ma anche dalle connessioni esistenti tra il piano fenomenologico e quello ontologico della realtà. Conquiste preziose per chi avrebbe poi fatto nella vita il giornalista e il professore universitario di Comunicazione e Marketing.
Per queste ed altre ragioni ho gioito quando ho appreso del successo dell’iniziativa intrapresa dal liceo Berchet di Milano con il corso «Ricomincio da… greco». L’orario pomeridiano favorisce la partecipazione un po’ di tutti: studenti, lavoratori, adulti, chiunque insomma sia realmente interessato alla scoperta o alla riscoperta della cultura classica. Un’iniziativa che nel giro di pochi giorni ha registrato il sold out, ovvero il tutto esaurito, anche grazie al passaparola. E ciò a riprova del fatto che la cultura, in quanto universo di conoscenze conoscibile, è contagiosa. Non si tratta di un’operazione nostalgia, ma di un modo efficace ed opportuno di contrastare il diffondersi del riduzionismo concettuale, la cui presenza spesso registriamo nel contesto postmoderno dell’individualismo libertario. Contesto agli antipodi del modello socio-culturale costruito, anche per il tramite dell’agorà, intorno alla persona, ovvero all’io sociale. È un modello da esportare quello di Milano: mi auguro, infatti, che i licei classici della Puglia e della Basilicata possano replicare questo progetto anche nei territori e nelle comunità nelle quali operano.
Ma qual è il valore di questa ri-partenza formativa e culturale? Nel rispondere a questa domanda dobbiamo anzitutto iniziare a muovere il ragionamento partendo da un’esigenza antropologica che, personalmente, considero imprescindibile: il recupero della memoria e la segnalazione delle radici della nostra cultura. Senza passato non c’è presente e senza presente non ci può essere futuro. Per guardare avanti, bisogna sapersi voltare indietro. Occorre muoversi non solo in direzione del «futuro possibile», ma anche in direzione del «futuro probabile». Il che significa considerare il modo in cui la tradizione riesce a sposarsi con l’innovazione e come il pericolo del presentismo, ovvero lo schiacciamento dell’essere umano sul solo tempo del presente, possa essere scongiurato. Un’operazione necessaria, visto che la complessità ci obbliga a fare i conti con il superamento del rapporto di causa ed effetto e, quindi, con l’adozione di chiavi interpretative in grado di rifuggire dalla tendenza contemporanea alla semplificazione e alla ipersemplificazione.
La cultura umanistica abitua al pensiero critico, alla complessificazione (come direbbero i filosofi), all’analisi del significato più profondo dei fenomeni micro e macro sociali, al fine di comprendere meglio il senso di ciò che ci circonda. La cultura umanistica, e quella greca in particolare, allena alla costruzione e alla preservazione dell’identità. Categoria quest’ultima che è capace di sviluppare senso di appartenenza ad una nazione, ad una comunità e ad un’organizzazione e che contestualmente sa generare segni di distintività e di riconoscibilità all’esterno. La Luiss, università vocata fin dalla sua costituzione alla valorizzazione delle scienze sociali, ha potenziato il ricorso a insegnamenti di connotazione umanistica, sapendo che essi producono l’effetto di un grande arricchimento culturale per chi in futuro opererà nell’ambito del management e del business, delle relazioni internazionali e della pubblica amministrazione, del diritto, dell’economia nel suo complesso e persino della finanza.
Occorre altresì ricordare che i modelli educativi più performanti sono quelli ispirati alla logica del life long learning e del life large learning. Nel primo caso si tratta di prendere atto che la conoscenza non si acquisisce una sola volta durante l’esistenza di una persona e che non si può pensare di vivere di rendita, utilizzando solo ciò che si è imparato a scuola e all’università anni prima, se non addirittura decenni prima. Nel secondo caso si tratta, invece, di prendere atto del fatto che l’apprendimento multi ed interdisciplinare deve accompagnarsi, senza soluzione di continuità, ad esperienze di vita vissuta e a pratiche quotidiane di matrice relazionale in base alle variabili legate all’età, al contesto in cui si vive e si opera, agli interessi che si coltivano. Si inserisce in questa traiettoria argomentativa la ricerca di equilibrio tra conoscenze e competenze, ovvero tra il «sapere» e il «saper fare».
Il boom di iscrizioni al corso sul greco antico organizzato dal liceo Berchet di Milano rileva anche a fronte dei dati che il Censis ha pubblicato due giorni fa sull’uso dell’intelligenza artificiale a scuola. Il 72% degli studenti della scuola secondaria di secondo grado utilizza l’AI per lo studio o nella vita personale. Il 53,1 % ha nella propria classe insegnanti favorevoli al suo impiego nella didattica. Il 33,8% ha docenti che la utilizzano come supporto all’apprendimento. Il 59,2% crede che l’AI velocizzi alcune fasi dell’apprendimento e la maggioranza desidera impiegare questa tecnologia impattante per avere spiegazioni personalizzate di ciò che non si comprende facilmente, oppure per compiere esercitazioni specifiche. Per fortuna, il 71.7% dichiara di controllare che il contenuto generato dall’intelligenza artificiale sia corretto. Ecco perché è strategico strutturare sia in ambito pre-universitario, sia in ambito universitario (dall’undergraduate al graduate, al postgraduate), programmi di AI Literacy. Non si tratta solo di comprendere le modalità di funzionamento dell’intelligenza artificiale, ma anche di valutarle criticamente, di governare il contesto progettuale ed applicativo.
A questo punto della nostra analisi è legittimo chiedersi se tradizione e innovazione (specie tecnologica) siano compatibili. La risposta è sì. La composizione dicotomica dei due poli è esercizio di buon senso fin dall’epoca di Platone che nel Fedro si confrontò su come rendere compatibile la cultura verbale orale (tradizione) con la cultura verbale scritta (innovazione). Sappiamo come è andata a finire e quanti passi in avanti sono stati fatti. Agiamo in un’epoca in cui parole nuove come prompt e vecchie come lògos possono e devono convivere, integrandosi nella creazione di un ecosistema di trasmissione e acquisizione della conoscenza frutto di ibridazioni funzionali e, dal punto di vista metodologico, di un approccio olistico.
Il greco (così come il latino) serve ad allargare il vocabolario della generazione Z. Non si sottovaluti il fatto che i nostri ragazzi usano al massimo qualche centinaio di parole ogni giorno. Hanno ridotto di molto il loro patrimonio semantico, a differenza di quanto non accadeva in passato, quando i lemmi conosciuti dai soggetti in età evolutiva erano il doppio. È un processo problematico quello che qui si sta descrivendo. A ben guardare, se si restringono gli elementi dei data set, anche l’intelligenza artificiale fornirà risposte meno complete e meno precise alle domande che gli utenti rivolgeranno ai motori di ricerca, dando così forma al disegno di delega dall’essere umano alla macchina.
Il sofista Gorgia, nel IV secolo A.C., nel suo Encomio di Elena, definì la parola come un «grande dominatore che con il più piccolo e invisibile corpo compie le opere più divine». Sono le parole a legarci all’antichità e al tempo stesso a costruire ponti verso il futuro. Dobbiamo ricordarci tutto ciò, a maggior ragione poiché assistiamo al consolidamento del primato dell’audiovisivo. Attenzione: i video, così come i podcast, sono uno strumento di grande importanza per sapere, per conoscere, per scoprire, per migliorare. Da soli, però, non bastano. Bisogna riscoprire il piacere della lettura e predisporsi all’analisi e all’interpretazione. Il mondo classico è ancora vitale e pieno di energia. Una versione di greco per le nuove generazioni può essere stimolante quanto una domanda a ChatGpt, anche se a differenza di quest’ultima richiede molto più tempo, molta più fatica e molte più competenze. Ma questo è un fatto positivo. Del resto, nella vita non cancelliamo mai dalla nostra mente le cose più difficili e quelle che conseguiamo con tanta fatica. Facciamo finire nelle retrovie della nostra esistenza, invece, quelle più facili o quelle che otteniamo senza grandi e significativi sacrifici.
Buon greco antico a tutti. Ma proprio a tutti. Per la cultura c’è sempre tempo.
















