Trump ha picchiato duro contro l’Europa nel documento ufficiale, che dopo un anno di disastri nazionali ed internazionali, magnifica la strategia della sua politica, già fatta e da proseguire. Al di là dei contenuti, ampiamente oggetto di analisi, colpiscono i toni aggressivi e lo scempio della realtà, che non importa quale sia, perché conta come deve apparire: sempre e comunque un successo in stile Trump. Trump ovvero il campione della forza sul diritto, l’artefice del controllo sociale a scapito della libertà, il Nobel per la guerra, lo spregiudicato dominatore che ignora la giustizia, il simbolo degli affari che escludono l’etica, il modello del bene supremo della ricchezza associata al potere. TheKing. Il documento è un manifesto sfrontato, sovranista, illiberale, razzista, l’espressione del suprematismo maschile bianco nell’era tecnologica, dove però alla scienza tocca rimanere ancella del potere, perché non conta, quando la narrazione non coincide con la visione politica. Vedi soprattutto i dati sui cambiamenti climatici e il rischio nucleare, che sta perdendo il valore della deterrenza in un contesto di asimmetria morale. Un approccio bellicoso, che rischia di mettere in pericolo il mondo, in assenza di principi etici.
Si impone una digressione. Il fisico Oppenheimer, a capo del «progetto Manhattan», ottant’anni fa, dopo la sperimentazione della bomba atomica, che avrebbe portato allo spaventoso disastro di Hiroshima e tre giorni dopo di Nagasaki, colpite dall’aviazione americana, pronunciava la famosa frase, tratta dalle sacre scritture sanscrite: «Sono diventato la morte. Il distruttore di mondi». Uno scienziato, perseguitato dai sensi di colpa, ricorreva alla filosofia e alla religione, parlando di «peccato» e di «conoscenza del male», diventando il più strenuo oppositore dello sviluppo nucleare.
Veniamo al punto: nonostante le evidenze di un anno intero, evidenze drammatiche e devastanti sui fronti di guerra, sui mercati, sui popoli più deboli (palestinesi, sudamericani, asiatici, africani), ma anche all’interno della stessa America, disarticolata e intimidita da Trump, in una strategia che sta cancellando il dissenso, sembra che ancora non ci si renda conto del pericolo incarnato dall’amministrazione da lui presieduta, una congrega di amici, dipendenti e parenti, nel collante di un progetto tutt’altro che improvvisato. Nel rischio neanche attenuato di un’emergenza nucleare (Trump ha tra l’altro annunciato che ricominceranno i test atomici) si accetta senza discutere l’accelerazione del riarmo, si subisce la piena sintonia tra i due presidenti, Trump e Putin, così come la costante e progressiva contrapposizione alla Cina. Si resta impotenti dinanzi allo smantellamento delle organizzazioni internazionali (a cominciare dall’Onu), soprattutto, si continua a parlare dell’alleato americano, che dopo il documento appena pubblicato dalla Casa Bianca, dichiara apertamente di considerare finita l’alleanza. E Trump insite: l’Europa non serve, la sua civiltà finirà in meno di vent’anni.
Nella complessità delle relazioni sociali, economiche, internazionali non si procede a colpi di machete, come sta facendo il presidente americano. Né sono paragonabili storie e civiltà. Bisogna dimostrare a Trump che si è sbagliato, ostaggio della sua impareggiabile superficialità. «L’Europa appare un bastione dei diritti umani, primo esempio nella storia di un continente che cerca un’unificazione senza guerra, che ha bandito la pena di morte che ha organi politici e giudiziari». Lo scriveva Antonio Cassese, non solo giurista, ma grande esperto di relazioni e ruoli internazionali. L’Europa è ancora quel bastione, probabilmente un po’ meno di prima, ma la sua cifra è questa. Non è di dominio pubblico, però, né viene detto. Se si è lasciato campo libero alla burocrazia, nella complessità dei processi, arrivando all’irrilevanza troppe volte dei provvedimenti, mai estranei tuttavia agli interessi particolari, ora è indispensabile aggiustare la rotta. Servono atti concreti, immediati, efficaci e narrazioni altrettanto concrete, immediate ed efficaci, che arrivino facilmente a chiunque. Il «bastione dei diritti umani» e della democrazia occidentale resiste e va difeso.
Nel Candido di Voltaire, si evoca il concetto di «coltivare il proprio giardino». Espressione che era stata declinata banalmente nel farsi i fatti propri. Ma poteva il brillante e irriverente filosofo francese, che tanto ha scritto sulla libertà di parola, religione e opinione, chiudersi in un giardino? Quel messaggio oggi è più forte e ancora più attuale. Significa, che bisogna occuparsi con cura di ciò che è intorno a noi e migliorarlo. La luce della ragione, contro il buio del male. L’orgoglio di sé stessi, nella propria terra. La costruzione di alternative, salvando il poco che resta. Su un tessuto stracciato, le pezze fanno peggio, i ricami però miracoli. Torniamo allora a prendere l’ago. Per riparare ciò che è sdrucito, ma soprattutto disegnando nuove trame ovvero alleanze, proposte e soprattutto comportamenti tempestivi e identitari. A cominciare dai diritti umani e civili, di cui l’Europa deteneva il primato riconosciuto, sciupato invece malamente dinanzi al genocidio dei palestinesi, agli omicidi mirati e ai ghetti per gli immigrati. La narrazione deve ritrovare energia, coerenza, facendo barriera agli attacchi quotidiani su commissione e dietro compenso dei nemici dell’Europa all’interno di ciascuno stato dell’Unione, a cominciare dal nostro. Anche alla stampa tocca svolgere la sua parte contro il rischio della guerra. I sovranisti servili, arroganti e sciocchi hanno trovato troppi spazi liberi, dove si sono incuneati giorno dopo giorno. Il fenomeno va approfondito, denunciando l’illegalità. Negli anni ‘60, i presidenti Kennedy e Chruscev evitarono la terza guerra mondiale, trovando un accordo sul filo di lana. Oggi che Trump è Putin condividono la stessa visione del mondo, fondata sul diritto di aggressione, inesistente nei codici del diritto, come si evita la guerra? Il riarmo non può essere il tema vincente, né l’unica strada, né tantomeno la chiave per avvicinare l’Europa agli europei, in particolare agli italiani. I fantasmi della guerra, d’altra parte, portando la paura, infiacchiscono e corrompono i popoli, come sanno coloro che l’hanno vissuta. Il governo dell’Europa e i governi nazionali, compreso il nostro, non possono chiamare alla guerra, senza offrire con determinazione alternative. In ottant’anni il nostro mondo è cambiato e non può accadere che in un solo anno cambi daccapo, rovesciandosi di nuovo. Dopo la sconfitta del delirio nazista, ci fu un nuovo straordinario inizio, grazie anche agli americani. È di quel nuovo inizio che abbiamo bisogno, di fronte ad un altro delirio, evitando però la guerra e facendo a meno degli americani. Se non basterà la delega al ceto politico, spesso inadeguato, si chiameranno in causa i tanti corpi intermedi della nostra società e farà il suo ruolo la stampa. Secondo Joseph Pulitzer, il giornalismo non deve limitarsi al racconto dei fatti, ma intervenire, spiegando come dovrebbero diventare. Servono molte risorse. Anzi tutte. Il ruolo che attende l’Europa è più importante che mai.
















