Martedì 09 Dicembre 2025 | 18:23

Quando la «forbice» del tempo insegna che sulla storia non deve mai aleggiare l’oblio

Quando la «forbice» del tempo insegna che sulla storia non deve mai aleggiare l’oblio

 
Gianfranco Longo

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Gianfranco Longo

Quando la «forbice» del tempo insegna che sulla storia non deve mai aleggiare l’oblio

Un proverbio arabo dice: «Il tempo è una forbice; se non lo taglierai tu per primo, il tempo taglierà te inesorabilmente»

Martedì 09 Dicembre 2025, 12:59

Un proverbio arabo dice: «Il tempo è una forbice; se non lo taglierai tu per primo, il tempo taglierà te inesorabilmente». Ogni giorno che trascorre segna in noi una parte, piccola o grande, che il tempo ci sottrae, che riesce a tagliare. Anticipare il tempo lo si può fare, conservando nella nostra memoria ciò che passa e trascorre, accumulandolo, senza che nulla cada nell'oblio. Infatti il potere di questa forbice è sminuzzarci, lasciando che i giorni scompaiano, non resistendo nessuno alla forza del tempo che compie un suo paradosso: quello di portarci a dimenticare ciò che passa, ciò che viene abilmente tagliuzzato, in modo irrimediabile, e che non ci permette qualcosa di essenziale: serbare memoria di quanto avvenuto.

In questo il tempo trova un suo alleato in grado di sostenerlo, un alleato che va man mano recidendo epoche ed età, un alleato verso cui il tempo funziona all'opposto di quanto noi invece subiamo. Questo alleato del tempo è il potere politico, un moto di forze della dimenticanza, un moto che raccoglie le parti della memoria, quelle ormai cadute in un inesorabile oblio. L'efficacia di questa azione congiunta, fra tempo e potere politico, è di neutralizzare la storia privandola di quanto potrebbe invece essere in grado di frenare il tempo senza che esso neutralizzi la nostra vita e la congeli, come un embrione da scartare o da utilizzare a «tempo» debito. La forbice in possesso della vita, quella che consente di recidere il tempo prima che esso lo faccia con le nostre forze, con il nostro ricordo, con la nostra stessa vita, è oltrepassare la memoria intervenendo direttamente sul tempo, sospendendo la sua azione di sostegno e di aiuto al potere politico. E ciò è possibile con la testimonianza, vero antidoto all'oblio. Testimoniare infatti non è solo ricordare un avvenimento, come fosse una semplice pagina di un sussidiario di una volta che riusciva a tenere insieme ogni cosa, in maniera che nessuna esprimesse una sua specifica qualità, affinché nulla poi assumesse il suo giusto rilievo e il suo ruolo specifico, la sua posizione reale e la sua dimensione nel passato, confondendo dati e concetti, riflessioni e apprendimento, in ombre senza profilo, in un gioco di sovrapposizioni in grado di ingarbugliare realtà con memoria, momento presente con surreale suggestione di quanto avvenuto, come fossimo tutti all’interno di un dipinto di Salvador Dalì.

Testimoniare è pertanto tagliare il tempo prima che esso tagli noi, prima che recida il ricordo e con esso la possibilità che la storia testimoni l'oltraggio continuo del potere politico contro i popoli, come se tutto passasse subito in un archivio della dimenticanza, un archivio controllato dal potere, i cui dati sono parti scartate dei popoli e del loro destino, parti del tempo perduto, senza più una loro dimensione, rilievo, ruolo. Comprendere quanto accade, significa resistere alla forbice del tempo e reciderlo dando testimonianza continua di un potere politico che tenta di assuefarci ad ogni evento, derubricandolo a una pratica risolta, ormai finita sotto il suo controllo. Lasciare che gli eventi trascorrano senza più rilievo, significa permettere al potere politico di raccogliere quanto il tempo tagliuzzi con le sue forbici per accumularlo nel suo proprio archivio, quello dell'oblio della storia e del presente. Il tempo sta così recidendo, lentamente, gli eventi, sfregiando la nostra memoria in un disordine di questioni ben «organizzate» nel loro stesso dipanarsi. Tra Ucraina e Palestina l'azione di pace è in realtà un'azione di smemorizzazione progressiva, azione del potere politico che sta man mano sovrapponendo al ricordo e alla possibile testimonianza sugli eventi, l'efficacia di un rinvio degli accordi di pace mediante abili strategie di momentanea pacificazione, un surrogato della pace composto da intimidazioni, piccole rappresaglie quotidiane, avvertimenti, in grado di allertare e sfidare a un rilancio, come in una partita di poker in cui, però, nessuno può davvero mai sentirsi sicuro di avere le carte vincenti in assoluto, dovendo sempre temere che l'altro giocatore possa batterlo, anche in caso di scala reale. C'è un modo tuttavia di vincere il giocatore rimasto a contendersi il piatto: quello di lasciarglielo, senza permettergli di sottrarre ancora una puntata, andando a vedere le sue carte e trovarvi poi delle carte vincenti, carte in grado di far raccogliere tutto. È un rischio minore, una sfida neutralizzata però, che nel caso delle due guerre in corso, assolutamente analoghe, il reciproco scambio di accuse di non raggiungere un accordo di pace trova nel ricordo degli inizi la testimonianza che sforbicia il tempo, non consentendo che sia l’oblio degli eventi a tagliare la storia e i suoi protagonisti, mediante l’imperturbabile distacco cui andiamo incontro e che ci fa dire: «Adesso non ho tempo per pensare a queste cose. Ho fretta, poi si vedrà».

In quel momento il tempo avrà reciso la nostra memoria, ingannato la storia, assolutizzato il potere politico, facendo degli eventi e del mondo ombre che si sovrappongono ad altre, senza più essere in grado di distinguere cosa sia la realtà presente e cosa sia stato l’inizio di una partita; cosa sia stata la guerra e cosa potrebbe significare la pace. Ma per distinguere tutto ciò c’è bisogno di testimoniare, così che la storia stessa non diventi un gigantesco archivio dell’oblio.

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