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Giuseppe De Tomaso
19 Gennaio 2021
Matteo Renzi
Sarà che la comunicazione è un’attività, anzi un’arte, sempre più difficile da coltivare. Sarà che alcuni fissati della comunicazione si ritengano più infallibili del Padreterno, sta di fatto che molti professionisti del messaggio h24 inanellano uno svarione dopo l’altro, fino al punto da squarciare l’immagine di riconosciuti dominatori dei media cucita su di loro nel corso degli anni.
Prendiamo l’ultimo caso, forse il più eclatante: Matteo Renzi. Fino al trionfo elettorale alle europee (40,8% nel 2014), il Rottamatore fiorentina somigliava al Re Mida della mitologia: trasformava in oro (ossia in voti), tutto ciò che toccava. Merito, si diceva, soprattutto delle sue doti di grande affabulatore (comunicatore). Poi a partire dalla lunga campagna elettorale sul referendum (2016) per la revisione costituzionale, l’allora premier-leader, che pure era riuscito a soffiare a Benito Mussolini (1883-1945) il titolo di capo del governo più giovane nella storia nazionale, non solo non ne ha azzeccata una, ma ha dato la sensazione di comunicare, cioè di giocare contro sé stesso. Una caduta, all’insegna del cupio dissolvi più autolesionistico, così vertiginosa, da sfociare nel paradosso più deleterio per un big della politica e della comunicazione: riuscire ad avere torto anche quando si ha ragione.
Il che, per chi ha trasformato gli organi dell’informazione nel piesdistallo della propria ultra-rapida carriera politica, rappresenta davvero il colmo, l’exploit più clamoroso della legge del contrappasso.
Renzi potrà obiettare che la grande stampa è prevenuta nei suoi confronti; potrà dire che, in occasione della rottura con Giuseppe Conte, in pochi tra gli addetti ai lavori (classe dirigente e tribuna stampa) si sono soffermati sui problemi da lui sollevati, mentre quasi tutti hanno banalizzato, retrocedendolo a liti di potere e a incompatibilità di caratteri, lo scontro tra lui e il presidente del Consiglio; potrà ribadire che davvero Italia Viva non aveva sollevato esigenze di poltrone, visto che le due sue ministre lasciavano scrivanie assai gratificanti. Insomma, Renzi potrà opporre le sue più serrate controdeduzioni alla narrazione della semi-crisi in atto. Ma se, tuttora, le ragioni del suo strappo non solo hanno fatto breccia nell’opinione pubblica, ma addirittura non appaiono di facile comprensione persino per il club dei super-informati, qualche motivo ci sarà. Il che di sicuro non contribuisce a corroborare la fama di tele-asso e di web-campione da lui guadagnata sin da quando presiedeva la Provincia di Firenze.
Il bravo comunicatore conosce i rischi del mestiere. Sa già in anticipo che ogni sua parola può prestarsi a fraintendimenti o manipolazioni: è lo scotto quotidiano pagato dalla politica che, osserverebbe il vulcanico Rino Formica, resta sempre un cocktail di sangue e merda. Per questo il bravo comunicatore deve calibrare il messaggio con la pignoleria di un esperto orologiaio. Guai a sbagliare tempi, modi e termini di un’uscita politica, specie quando l’iniziativa non è, per così dire, di rito ordinario, semmai straordinario. Se si sbaglia qualcosa, l’effetto boomerang è assicurato, con buona pace di progetti e strategie di breve o lungo respiro.
Lasciamo stare, perciò, la sequenza degli errori renziani scattata già all’indomani della vittoria piddina alle europee 2014 e culminata nel flop referendario di dicembre 2016. Concentriamoci sulla questione degli euroaiuti e della linea complessiva del governo, che ha portato il capo si Italia Viva a dire ciao al presidente del Consiglio.
Ragionevolezza avrebbe voluto che Renzi avesse concentrato su un solo tema, ad esempio la sanità, la sua critica al governo. Invece ha messo tanta di quella carne sul fuoco che, alla fine, il fumo ha oscurato e confuso tutto. E quando non si riesce ad afferrare il boccino del discorso, non ci vuole molto a sospettare (a volte a torto) e a concludere che è solo un affare di poltrone e di potere. Una sola cosa è passata, nei giorni scorsi, presso il cittadino medio: Renzi non sopportava Conte. E Conte ora non sopporta Renzi, tanto da non prestare ascolto ai messaggi di riconciliazione in arrivo dal quartier generale renziano e da puntare, sempre Conte, le carte soltanto sull’operazione responsabili, anche a costo di non mettere assieme i numeri necessari. In tal caso la prospettiva del voto anticipato si manifesterebbe come più probabile della neve in montagna, d’inverno.
Comunque. Così come un articolo, o un libro, è sbagliato se contiene più tesi (confondono il lettore che può non stabilire la gerarchia degli argomenti), così è sbagliata una sortita politica fondata su molteplici punti: ci si smarrisce sùbito, come in un labirinto.
Renzi aveva davanti a sè un solo cavallo di battaglia su cui montare, un cavallo di battaglia di indubbia presa e popolarità, che si sarebbe inserito, anche sul piano comunicativo, sulla scia del suo recente libro, intitolato, non a caso, La mossa del cavallo.
Questo cavallo si chiamava sanità. Avrebbe potuto argomentare, il senatore di Rignano, che i soldi per la sanità, malgrado il raddoppio ottenuto dal ministro Roberto Speranza, restano pochini (specie in piena pandemia) e che la sua riforma costituzionale, se fosse passata, avrebbe impedito la conflittualità permanente tra Stato e Regioni, con tutte le conseguenze che comporta questa continua lotta tra istituzioni.
Renzi ha solo sfiorato questo aspetto, ha detto di più e di tutto, ma nessuno ha compreso la causa, il titolo della sua separazione da Conte. Morale: per lui sondaggi giù e retropensieri su («Ha rotto per mire di potere»).
Certo. In Italia tutto può cambiare nel giro di poche ore, visto che le maggioranze di governo si fanno e si disfano come pacchi al supermercato. Può persino accadere che, nell’immediato futuro, Italia Viva e il suo fondatore rifacciano pace con Conte e Zingaretti e tornino al governo (alcuni ambasciatori sono già in azione). Ma a un ragazzo che aveva fatto della comunicazione l’arma vincente per la sua scalata istituzionale, gli scivoloni mediatici hanno provocato ferite di non semplice medicazione. Autostima giù per lui. Autostima su per i suoi avversari.
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