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L’ignoranza del passato sta riesumando la società chiusa

 
Graziana Capurso

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Graziana Capurso

Le illusioni pericolose nel segno del «popolo»

Non si può comprendere il presente, senza conoscere il passato. Ma se non si conosce il passato, si è condannati a riviverlo.

Giovedì 13 Febbraio 2020, 15:51

Il caustico Leo Longanesi (1905-1957) sosteneva che in Italia tutti sono estremisti per prudenza. Vivesse oggi, lo scrittore e aforista romagnolo, scopritore di talenti e inventore di giornali, sarebbe costretto ad aggiornare o, addirittura, a ribaltare il suo ricco repertorio di battute. Oggi tutti tendono ad essere estremisti per calcolo, non più per prudenza. Il che accade non soltanto in Italia, ma nell’intera Europa e, ovviamente, anche negli Stati Uniti, come dimostra l’alta popolarità di cui gode il presidente in carica. Estremisti per calcolo, si diceva. Ma anche per dimenticanza, per rimozione, per ignoranza. Estremisti per calcolo, perché l’hard power rappresentato dalla Rete costituisce il più diffuso ed efficace eccitante per il potere voglioso di stupire e irregimentare.

Estremisti per dimenticanza, perché il distacco temporale dalle idee assassine del secolo scorso rende ogni giorno più blando il ricordo delle immani tragedie vissute da mezzo mondo per colpa degli assolutismi e dei totalitarismi amanti della società chiusa e delle soluzioni belliche.
Dagli Usa alla Germania, dalla Gran Bretagna all’Italia, non c’è Paese immune dal virus dell’intolleranza. Perfino il ricordo dei periodi più bui della storia nazionale ed europea degenera spesso in contumelie da strada, anziché trasformarsi in occasione di studio o in mobilitazione intellettuale in difesa della società aperta in pericolo.

L’America è l’America, uno Stato i cui anticorpi antitotalitari risiedono nei pesi e contrappesi introdotti in Costituzione dai suoi padri fondatori. Ma anche l’America non è al riparo dal virus dell’autoritarismo, come attestano le sfide continue, che partono dalla Casa Bianca, alle istituzioni di controllo e alle autorità indipendenti. Non a caso Nelson Polsby, il politologo che più ha studiato il sistema politico Usa, osservava nei suoi scritti che quella americana non è una democrazia presidenziale, ma una democrazia a separazione di poteri; che il presidente è il capo dell’esecutivo, ma non il capo del governo, perché il governo effettivo è formato anche dalle due Camere del Congresso («rami uguali di governo»). Insomma, l’inquilino della Casa Bianca non è, né dovrebbe essere un uomo solo al comando, dotato di poteri illimitati. Donald Trump, però, diversamente dalla tesi di Polsby, tutto è tranne che un tessitore di rapporti con gli altri organismi chiave della confederazione. Il che contribuisce alla radicalizzazione dello scontro e all’estremizzazione delle posizioni politiche.
Anche l’Europa e l’Italia non scherzano in proposito. La Gran Bretagna ha divorziato dall’Unione di Bruxelles e rischia di frantumarsi al proprio interno. La Germania non attraversa una fase felice, anche perché il crepuscolo di Angela Merkel si sta rivelando foriero di strappi per il suo partito moderato. L’estrema destra, oltre a eroderne il consenso, ne insidia la struttura. Il che non è rassicurante per l’intero Continente, anche perché - ammoniva Winston Churchill (1874-1961) - i tedeschi scelgono sempre per il meglio, ma di solito per due volte in un secolo scelgono irrimediabilmente per il peggio.
La democrazia italiana non è il massimo dell’efficienza e della stabilità, ma non è neppure al riparo da involuzioni novecentesche. Il mix tra populismo, anti-europeismo, sovranismo, nazionalismo, localismo non aiuta. Così come non aiuta la montante tendenza a relativizzare, e sovente a negare, i fatti e misfatti del secolo passato, una tendenza figlia di una memoria sempre più evanescente.

A mano a mano che scolorisce la narrazione dei disastri umani e materiali patiti dal Paese; che vengono meno, per ragioni esistenziali, le testimonianze dirette di vittime, protagonisti e spettatori vari. Ecco. A mano a mano che tutto si annulla nell’indistinto dell’ignoto, del non sofferto e del non conosciuto, la tensione ideale e culturale s’allenta inesorabilmente, con buona pace per la tenuta morale di una società inizialmente fondata sulla tolleranza. Servirebbe un esercito di buoni maestri, come quelli che invocava lo scrittore siciliano Gesualdo Bufalino (1920-1996) per combattere la mafia. Ma gli odierni potenziali bravi maestri, a loro volta, sono spesso sedotti dai cattivi maestri stregati dalla società chiusa. E se gli spiriti liberi diminuiscono di numero, la libertà diventa pura astrazione.
La vicenda del virus cinese, con le misure di contrasto scattate in grave ritardo, dopo il tentativo (fallito) di circoscrivere e minimizzare l’accaduto, dovrebbe indurre alla riflessione sulle gravi conseguenze cui può condurre l’ossequio alla società chiusa. Ma anche in questo caso si tende a sorvolare, a cambiare argomento, a gettare il pallone oltre la tribuna. Anche perché la classe politica, su questi temi, è più sorda di una campana.
Non si può comprendere il presente, senza conoscere il passato. Ma se non si conosce il passato, si è condannati a riviverlo. È una frase simbolica, una raccomandazione stracitata dalle anime più accorte. Eppure nessuno dà mai l’impressione di prenderla in seria considerazione.

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