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Gli effetti paradossali della lotta all'evasione

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

Gli effetti paradossali della lotta all'evasione

«Quando è in difficoltà con i numeri, la classe politica tende a scaricare tutte le colpe sull’indecente, inaccettabile, evasione fiscale che caratterizza il Belpaese»

Domenica 29 Settembre 2019, 13:01

18:25

Le entrate fiscali, in uno Stato in buona salute, aumentano grazie alla crescita economica, non grazie alla crescita impositiva. Ma siccome, da parecchi lustri, la crescita economica, quella come-si-deve, resta un miraggio, ecco che l’unica strada percorribile rimane la salita delle tasse. Alzare le tasse è una via facile e comoda, non richiede alcuna competenza specifica, chiunque potrebbe cimentarsi. Ma aumentare le tasse è, anche o soprattutto, una via assai pericolosa, perché a furia di incrementarle, l’economia va in depressione, la voglia di intraprendere declina, e può persino capitare che le entrate dello Stato inizino a calare.

Quando è in difficoltà con i numeri, la classe politica tende a scaricare tutte le colpe sull’indecente, inaccettabile, evasione fiscale che caratterizza il Belpaese. Ma, anziché attivare serie misure di contrasto al fenomeno, i governi preferiscono colpire chi le tasse le paga già, oltre che varare provvedimenti di segno opposto ai proclami anti-evasione, tipo condoni, sanatorie e regalìe varie, come facevano i sovrani di una volta quando volevano assicurarsi ora il favore della nobiltà ora il favore del popolo, e come facevano alcuni generali e colonnelli sudamericani all’indomani del periodico colpo di Stato.

E così, martellando sui contribuenti onesti con l’argomento della redistribuzione della ricchezza e della giustizia sociale, si è verificato quanto segue: l’alta tassazione scoraggia gli investimenti di chi vuole essere rispettoso delle leggi, e incoraggia le scappatoie di chi invece è portato, per indole o per calcolo, a beffare chiunque gli si pari innanzi. Quale possa essere il tasso di moralità, trasparenza ed efficienza, di un sistema così congegnato, lo affidiamo all’immaginazione e alle riflessioni dei lettori. Di sicuro questo tipo di inquinamento (etico) risulta alla fine persino più dannoso dell’inquinamento ambientale, dal momento che contribuisce più di altri alla decrescita infelice.

Purtroppo si continua a ritardare, anzi, a escludere l’unica soluzione che, finora, nel mondo, ha dimostrato di poter combattere e reprimere l’infedeltà fiscale, soluzione che consiste nella normativa fondata sul conflitto di interessi tra consumatori, venditori e prestatori d’opera in genere: cosicché ogni proposito di moralizzare e rendere più sano e più giusto il rapporto tra Stato e contribuenti, è destinato a perdersi nel libro dei sogni. Uno, perché la fantasia degli evasori è più fertile delle campagne del Tavoliere. Due, perché il rischio di penalizzare ancora i cittadini virtuosi è più probabile di un tweet di Donald Trump contro i giornali.

L’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che in materia fiscale è un’autorità, lo ha ricordato l’altro ieri in un’intervista.

Sacrosanta la lotta all’evasione - è il senso delle parole tremontiane - ma recuperare l’evasione fiscale significa innalzare la pressione fiscale. Il che, aggiungiamo noi, renderebbe ancora più problematica la ripresa economica, visto che non si ha notizia, nel pianeta, di nazioni floride e iper-produttive, benché afflitte da una tassazione superiore al 50%.

Perché colpire l’evasione fiscale, senza nel frattempo ridurre le tasse ai contribuenti leali, comporta un aumento della pressione impositiva complessiva? La risposta è semplice: perché fa scattare il principio della traslazione di imposta, ovviamente sempre a danno degli onesti, e anche dell’intera platea dei consumatori.

Poniamo il caso di un governo che decida di far pesare una manovra economica più sulle imprese che sulle famiglie. In automatico, le imprese tassate rincareranno i loro prodotti, che graveranno sul portafoglio degli acquirenti. Allora, chi avrà pagato il conto del salasso sulle imprese?

Poniamo il caso che un idraulico o un medico non possano più mettere cliente e paziente di fronte al bivio tra pagare una cifra bassa senza fattura o pagare una cifra alta con fattura, e che, grazie anche all’eliminazione del contante, tutto debba essere registrato e documentato. Su chi graverà il maggior costo delle loro prestazioni? Ovviamente su clienti e pazienti, saranno loro a patire gli effetti della traslazione di imposta, che trasforma artigiani e professionisti vari in autentici sostituti di imposta.

Qualcosa cambierebbe se lo Stato proponesse almeno questo patto: ogni euro sottratto all’evasione andrà a ridurre la pressione fiscale complessiva. Perlomeno, pur in assenza di una legislazione basata sul contrasto di interessi, i consumatori si sentirebbero partecipi di un disegno di alta valenza sociale (non solo simbolica), e agirebbero di conseguenza.

Ma non si ha sentore di questa volontà pattizia. Anzi, l’impressione generale è che il ricavato dalla possibile stretta contro l’evasione (assai più grave, però, è l’elusione fiscale che, chissà perché, non finisce mai sotto i riflettori) non solo non debba essere utilizzato per potare i rami della foresta di tasse, ma debba essere adoperato per promuovere nuove spese, cioè alimentare altro debito. Il che contribuirà ad allungare quella spirale infinita di comportamenti pavloviani che vede l’Europa richiamare l’Italia alla disciplina finanziaria e l’Italia replicare all’Europa in nome della flessibilità e dell’autonomia finanziaria, che poi significa pretendere la libertà di indebitarsi a piacimento senza rendere conto a nessuno dei partner continentali.

Anche la lotta al contante nasconde retropensieri, diciamo, sciuèsciuè. Intendiamoci, Un Paese avanzato, da tempo avrebbe sostituito la moneta cartacea con quella elettronica, non foss’altro che per ragioni di sicurezza (basti pensare all’incubo rapina ai danni dei vecchietti che ritirano la pensione dagli uffici postali). Ma un Paese moderno sarebbe dovuto arrivare spontaneamente, non spintaneamente, al traguardo della card per tutte le operazioni economiche e le tipologie di shopping. Non a caso, la moneta elettronica è assai più diffusa in Paesi che non pongono limiti all’uso del contante, vedi Germania e Austria.

Invece, da noi, la sensazione più avvertita è che lo stop al contante nasconda il piano dello Stato di ergersi a Grande Fratello di tutti i risparmi dei cittadini, in modo da controllarli minuziosamente e, all’occorrenza, falcidiarli (con patrimonialone o patrimonialine) senza dare ai bersagliati la possibilità di metterli al sicuro altrove.

Insomma. Fino a quando la lotta all’evasione si farà così o addirittura introducendo nuove tasse (fossero pure quelle «salutistiche» sulle merendine o quelle ambientali sul clima ammorbato), il desiderio di ripartire rimarrà un pio desiderio.

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