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La sfida della manovra e il gioco del risiko

 
Francesco Giorgino

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Francesco Giorgino

Il premier Giuseppe Conte

Giuseppe Conte

La maggioranza di governo deve fare i conti con vincoli esterni (l’Unione europea) ed interni (le tensioni tra i due partiti e all’interno di uno di essi).

Lunedì 24 Giugno 2019, 16:02

Il governo prova a seminare ottimismo. Alla fine con la Commissione europea una soluzione si troverà e così si eviterà la procedura d’infrazione per eccesso di debito. Il premier Conte nella lettera inviata a Bruxelles qualche giorno fa ha chiesto di ricorrere a quella che nel linguaggio scientifico si potrebbe definire una “analisi qualitativa” dei dati. Vale a dire non solo discussioni sui numeri, che certamente producono un linguaggio di verità, ma anche un esame approfondito delle politiche economiche e sociali messe in campo fino a questo momento e di quelle che l’esecutivo intende portare avanti nella consapevolezza, diffusa e generalizzata, che occorre procedere con passo deciso in direzione della crescita e dello sviluppo.

Dopo il decreto dignità, il reddito di cittadinanza e quota cento, dopo il decreto crescita e lo sblocca cantieri, al centro dell’attenzione dei due partiti che governano l’Italia ora ci sono la flat tax ed il salario minimo garantito. Per quanto riguarda la tassa piatta, la Lega pensa ad un’aliquota al venti per cento per coloro che hanno redditi non superiori ai settantacinque mila euro e un’altra al venti per il resto delle tipologie di reddito. Il presupposto di questo ragionamento è che per poter rimettere in moto i consumi serva uno shock fiscale.

È questo il motivo per cui Salvini intende convocare al Viminale le parti sociali, preoccupato com’è non solo di spiegare perché insiste sulla flat tax, ma anche perché il Sud non deve temere il regionalismo differenziato. Iniziativa certamente non rituale, specie se consideriamo che, almeno nelle sue intenzioni, essa si estenderebbe alla discussione dell’intera manovra economica (non solo, quindi, dei provvedimenti identitari per il Carroccio) e che egli è il Ministro dell’Interno. Iniziativa che trova, tuttavia, motivo di legittimazione sostanziale nel peso che Salvini ha conquistato all’interno della maggioranza dopo le europee. Sulla volontà della Lega di anticipare la manovra all’estate, anche per chiedere un rinvio della decisione europea sulla procedura d’infrazione, è possibile fornire un’interpretazione economica ed una politica. Quella economica è più o meno riassumibile nel modo seguente.

Destinare al taglio del deficit per l’anno in corso i miliardi risparmiati da reddito cittadinanza e quota cento significherebbe spostare in avanti, di poco peraltro, la soluzione del problema. Tanto vale ragionare sulla manovra 2020, quando cioè (questa almeno è la preoccupazione più evidente dalle parti di via Bellerio) si dovrà fare i conti con un approccio più rigido da parte di Bruxelles sul rapporto deficit-pil e quando si porrà il problema di come evitare l’aumento dell’Iva, il cui costo è di circa ventitre miliardi. Veniamo ora all’interpretazione politica. Salvini vuole muoversi come l’azionista di maggioranza della coalizione, ma restando dentro il perimetro dell’attuale governo. Vuole imporre l’agenda di governo, più che conquistare nuove poltrone. Vuole evitare che ci sia una manovra correttiva. Non intende dare la sensazione di voler essere lui a rompere con i Cinque Stelle, anche se la propria comunicazione politica ed istituzionale si nutre di temi, come appunto l’economia e il rapporto con l’Europa, che egli considera buoni argomenti per spiegare agli elettori la necessità di un cambio di passo radicale. Cambio di passo che contempla anche l’ipotesi di elezioni anticipate. È questo il motivo per cui Di Maio non presta il fianco a certe tentazioni di far saltare il banco. Tentazioni che molti leghisti coltivano da settimane, pur registrando la prudenza, se non la freddezza ed a tratti l’ostilità, del proprio leader. Piuttosto, Di Maio prova a rilanciare sul salario minimo garantito e sul taglio del cuneo fiscale. Una riforma quest’ultima che consentirebbe la riduzione del costo del lavoro per molti imprenditori.

Mercoledì il Consiglio dei Ministri dovrebbe approvare l’assestamento da mandare a Bruxelles, con i numeri aggiornati sulla finanza pubblica 2019 e con più di un occhio al 2020. Volendo ipotizzare l’entità della manovra da varare per il prossimo anno va evidenziato che ai ventitre miliardi necessari per bloccare aumenti dell’Iva devono essere sommate le seguenti cifre: tre miliardi di spese indifferibili; da sei ad otto miliardi di correzione del deficit; oltre dieci miliardi per avviare la flat tax (Salvini ha parlato di quindici miliardi già reperiti); da due a tre miliardi per altre misure come appunto il salario minimo e la riduzione del cuneo fiscale. Il totale si aggirerebbe intorno ai quarantacinque miliardi. Per quanto concerne entrate e risparmi, è necessario tenere in considerazione i seguenti fattori: spending review quantificabile da via XX Settembre in quattro miliardi in base però ad una previsione superiore a quella presente nel Def; da quattro a sei miliardi di risparmi per reddito di cittadinanza e quota cento; maggiori entrate fiscali e lotta all’evasione. Un insieme di risorse che dovrebbero raggiungere la cifra di ventidue miliardi. Quanto basterebbe a finanziare le misure che il governo intende adottare se non ci fosse la spada di Damocle dell’Iva. Che la maggioranza non intende toccare. Per essere più credibili nel negoziato con l’Europa bisognerebbe, dunque, far salire ulteriormente l’asticella delle entrate e dei risparmi. Anche perché l’unica alternativa possibile a questo conteggio sarebbe la spesa in deficit. Scenario che aprirebbe un contrasto insanabile con l’Europa.

La maggioranza deve fare i conti con vincoli esterni (l’Unione europea) ed interni (le tensioni tra i due partiti e all’interno di uno di essi). Spinte e controspinte si rincorrono, aumentando le difficoltà di questa corsa ad ostacoli. È credibile Salvini quando afferma che un Governo composto da due partiti legittimati da un voto nazionale e da uno europeo, sebbene capace di invertire i rapporti di forza nella maggioranza, deve poter tagliare le tasse senza che l’Europa si metta di traverso, visto che proprio all’Europa l’Italia destina sei miliardi all’anno. Ed è convincente Di Maio, peraltro rafforzato nella sua leadership politica dal recente voto degli iscritti alla piattaforma Rousseau, quando sostiene che chi critica il Movimento destabilizza il suo ruolo nel governo e quando ricorda che egli sta cercando di governare un grande Paese e non di giocare a risiko. Gioco quest’ultimo che, com’è noto, viene alimentato da strategie d’attacco e difesa e dal perseguimento da parte dei giocatori di obiettivi che non coincidono quasi mai. Il punto è proprio questo.

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