Il signor Acciuga ha deciso di rimanere ancora un po’ seduto a meditare sulla sua panchina sottomarina.
Muto come il pesce che in parte è, ha speso un filo di fiato per farmi sapere di prendere il suo posto.
Sembra che abbia detto: Silvio Perrella, scrivi tu, trovati una panchina adatta e trai ispirazione.
Le panchine terresti in città scarseggiano, e le poche rimaste sono già occupate. I bar i ristoranti i pub hanno fatto incetta di panchine, sostituendole con tavolini e sedie a pagamento. Per fortuna ne trovo una in una posizione che permette agio di sguardo.
Il tempo non promette nulla di buono; le nuvole a convegno di mugugni oscurano il cielo; però la luce che precede il tramonto sa ancora resistere e s’infila tra i passanti, agita le ali agli uccellini, legge i rimasugli di tempo dietro i pochi alberi rimasti.
Un uomo con uno strano impermeabile ha un’andatura sbilenca; è come se stesse per dividersi in due come un visconte dimezzato.
L’impermeabile da un lato lo protegge, dall’altro lo lascia scoperto dando strattoni come una vela che vuol prendere il largo.
Il suo passo ha continui sbandamenti; lui è costretto a correggere la direzione; lo fa senza pensarci; i suoi occhi sono intenti a scrutare qualcosa che sta in fondo alla strada; forse ha un appuntamento e spera di vedere apparire il suo interlocutore tra i raggi obliqui del tramonto.
L’impermeabile continua a dare strattoni; gli vola accanto; si arricciola sulle punte; è difficile dire di quale colore sia; certo deve essere stato chiaro, ma il tempo e la noncuranza lo hanno reso un arcipelago cromatico.
L’andatura dell’uomo è come il tracciato di un elettrocardiogramma aggredito dalle extrasistole e trasmette un disagio che fa spostare gli occhi.
Dal fondo della strada compare una donna ben vestita; la gonna le cade sulle gambe con grazia; porta degli stivaletti con un bel tacco che danno al suo passo un accenno di danza; uno zainetto le accarezza la schiena.
Alle orecchie ha le cuffiette e mentre s’avvicina si capisce che muove le labbra; cammina e parla a un qualcuno che chissà dove sia.
Il suo parlare non si accorda con il passo. I piedi calzati dagli stivaletti sono aerei; danno agli occhi di chi guarda accenti di eros; la voce, adesso che è più vicina, invece è gracchiante, come se nelle corde vocali fosse poggiata una recriminazione che le grava e un po’ le distorce.
Anche la signora con la figlia versa la sua voce nel cellulare; ma la sua è una comunicazione di puro servizio; starà dando disposizioni a qualcuno dall’altra parte; qualcosa da fare in casa prima del loro ritorno.
La figlia ha un gelato quasi terminato; non guarda mai la madre; gusta la fine del suo gelato e mi si siede per un attimo accanto.
Un’altra donna raggiunge la madre, si somigliano, deve essere la sorella; confabulano, poi la nuova arrivata se ne va.
La figlia si alza, va verso il cestino dei rifiuti e getta quel che rimane della confezione gelatiera.
La madre riprende il cammino, la figlia la segue senza dir nulla, ma sfiorandola di tanto in tanto da dietro.
Incrociano una ragazza con due cani; il primo è piccolo con il pelo arruffato e gli occhi un po’ nascosti; porta un vestitino che ha un colore simile all’impermeabile dell’uomo che nel frattempo è scomparso nel nulla; il secondo ha un corpo affusolato che lo fa scivolare in avanti.
Prima l’uno poi l’altro guardano la ragazza che li tiene al guinzaglio, come a volerne capire le intenzioni.
Gli occhi dei cani hanno la malinconica sapienza di chi sa di essere prigioniero e allo stesso tempo ha accettato questa sua condizione cercando di trarne un qualche possibile beneficio; sono gli occhi mansueti di una cattività che prevede le passeggiatine, le pisciatine le annusatine e qualche improvviso sbraitamento quando sull’altro marciapiede si fa avanti un altro cane.
Il cielo, oramai quasi scuro, lascia cadere le prime gocce. All’inizio sembra una di quelle pioggerelline di passaggio; poi invece si scatena il putiferio, vento a scudiscio, temporale scrosciante, fuggifuggi.
Penso al signor Acciuga che in silenzio osserva dall’interno il mare sorseggiare la pioggia.