Non devi guardare, non devi guardare, dice a se stesso il signor Acciuga; gli occhi nuovi che ti sono infilati nelle orbite rimaste vuote soffrono di astenia; sbriciolano il visibile; si ubriacano di lacrime.
Lo dice come si dice un mantra; è doloroso per lui dirlo, ma sente che deve fermare le immagini che gli fanno ruota attorno; le deve fermare per qualche attimo; spegnere le luci; abbassare le palpebre come saracinesche che devono mettere al sicuro quel che dietro di loro.
Quando gli occhi nuovi si ribellano, è inutile fare alcunché. Ci si deve mettere in posizione di sonno sulla prima panchina disponibile e arrugginirsi insieme a lei.
Aspettare che i tremori oculari passino; saper ascoltare il suono della vista, quel sibilo strisciante come un cobra che scende dal naso affilato ed entra nell’ombelico e risale verso il cuore e vorrebbe sgozzarlo, facendone una bacinella colma di sangue.
Il signor Acciuga, quando gli occhi nuovi ricordano il viso di altri nei quali hanno lavorato fabbricando immagini e immaginazioni, sente quanto il suo anfibio lo aiuti a non precipitare nella disperazione più cupa e più scura.
In lui il nero e l’azzurro posso convivere come convivono le sue squame con la pelle, le pinne con piedi, la magrezza assoluta con un largo abitacolo corporeo.
Il signor Acciuga sa dilatarsi, quando è necessario; o restringersi in millimetri pensati ad arte, scivolando nella miniatura di se stesso, nella cellula che ricorda il momento in cui ha generato tutte le altre in un concerto biologico.
E se deve chiudere gli occhi, li chiude; rimane in un buio fosforescente che lo spinge ai viaggi della mente, a quelle escursioni senza una meta precisa che si fanno nei luoghi di confine, stando un po’ di qua e un po’ di là, come sospesi nell’indecisione fertile che sta alla base del suo essere anfibio: uomo di mare, pesce di terra.
Non devi guardare, non devi guardare, dice tra sé e sé; e non guarda se non il rovescio delle palpebre, che hanno come dipinte delle venuzze che sembrano fiumiciattoli trasparenti e lo tengono in ostaggio in un tempo indefinito che non sai mai se sia davvero tempo o sia invece una porzione di spazio che respira lentamente e in silenzio.
Il signor Acciuga ama i luoghi dove il tempo si vede; ma sa che guardare troppo a lungo il tempo che si fa spazio lo investe nel processo tragicamente affascinante della metamorfosi.
Lui è se stesso, un se stesso certo ibrido ma ben precisabile, ma è anche un altro e soprattutto un altrove; diventa, ad esempio, una panchina che si siede su di lui, sulla sua pancia o sul dorso arcuato.
La panchina guarda assestandosi su di lui; e mentre guarda gli occhi di Acciuga hanno delle piccole scosse, come fossero presi in un bradisismo del guardare che può condurre a un gorgo o semplicemente a una piccola piazza, dove Monsieur Teste lo aspetta per discutere con lui di metodi e contrometodi.
Non posso tenere gli occhi aperti, gli dice prima di chiuderli.
Monsieur Teste non si spaventa; sa per esperienza personale cosa significhi guardare con gli occhi degli altri; e sa che la cosa migliore è stare vicino al suo amico in silenzio.
Che magnifico suono è il silenzio quando mette in relazione due amici che non vedono da tempo e diffidando entrambi delle parole a scatafascio amano sentire il tepore che i loro corpi fanno stando l’uno accanto all’altro.
Aspetta che gli occhi si quietino, è come se dicesse Teste ad Acciuga.
Lo sto facendo, risponde a labbra chiuse Acciuga.
Sulle teste di entrambi ci sono delle panchine portatili sulle quali, di tanto in tanto, fanno sosta uccelli intenti a trovare un posto adatto per svernare.
Anche Acciuga e Teste vorrebbero disarcionare l’inverno in arrivo facendo incendio di ogni inessenzialità e fidando sulla comune capacità di forgiarsi scienze singolari, valide di volta in volta per singoli oggetti o singole convinzioni nate dall’osservazione dall’amicizia con le cose e con gli animali.
L’inverno è lì a un passo e loro, con gli occhi chiusi, nuotano nell’invincibile estate che li abita.
È attimo che dura a lungo, almeno quanto un battito di ciglia sospiranti.

«Non devi guardare, non devi guardare, dice a se stesso il signor Acciuga; gli occhi nuovi che ti sono infilati nelle orbite rimaste vuote soffrono di astenia; sbriciolano il visibile; si ubriacano di lacrime»
Giovedì 26 Ottobre 2023, 10:23
Biografia:
La meridiana, detta anche, impropriamente, orologio solare o quadrante solare, è uno strumento di misurazione del tempo basato sul rilevamento della posizione del Sole. Attraverso le parole di Silvio Perrella facciamo un viaggio nel tempo nei luoghi del cuore che profumano di Meridione e Sud.
Silvio Perrella
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