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Ma l’Europa resterà schiava

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

Ma l’Europa resterà schiava

Icaro intervista alcuni opinionisti. Qui Elena Basile, napoletana, classe '59, ambasciatrice, editorialista e autrice di sei libri

Domenica 27 Ottobre 2024, 23:36

È uno sguardo critico e complesso che incrocia l’esperienza diplomatica, la conoscenza del quadro geopolitico e la sensibilità letteraria, quello di Elena Basile con cui “Icaro” ragiona ad ampio spettro sulla partita delle presidenziali americane. Ambasciatrice, editorialista e scrittrice di sei libri di narrativa, Basile è in libreria, dal 4 ottobre, con Frammenti di Bruxelles. «Ho scritto 10 racconti su Bruxelles, città cosmopolita e villaggio burocratizzato - spiega -, che ho conosciuto bene quando ero dal 2017 al 2021 Ambasciatrice, la prima donna a guidare la rappresentanza diplomatica. Sono racconti di critica civile alle istituzioni brussellesi, dal Parlamento Europeo, al socialismo e alla borghesia liberale, ridicola nelle sue certezze, ma anche di personaggi molto teneri e di storie sull’universo giovanile e sull’animo femminile, permeate dalle atmosfere di una capitale che ho amato».

Elena Basile, quelle americane non sono mai semplici elezioni. Dal punto di vista europeo, e in particolare italiano, qual è la posta in gioco?

«Non credo che le elezioni statunitensi possano cambiare il destino dell’Europa. Gli stati Uniti,  Democratici come i Repubblicani, hanno un interesse comune: il vassallaggio politico e economico dell’Europa. Il conflitto russo-ucraino, spezzando la relazione speciale russo-tedesca, e un modello economico che è stato alla base della prosperità tedesca a partire dagli anni ottanta (gas russo a basso prezzo in cambio di manufatti e tecnologie) ha realizzato importanti ritorni geopolitici per Washington. Il destino dell’Europa è nelle mani delle nostre classi dirigenti che appaiono tuttavia oggi non in grado di proteggere gli interessi dei popoli europei. La Harris o Trump non incidono sulla subalternità della politica europea agli interessi della finanza, della società dell’1% che nei democratici e nei repubblicani ha le proprie marionette. L’Europa camuffa di valori antichi il suo vuoto politico e morale. La difesa europea e l’autonomia strategica sono divenuti la costruzione del braccio armato della NATO. L’Europa farà il lavoro sporco senza benefici. La guerra russo-ucraina mi sembrerebbe una conferma di questa tendenza. La Germania in recessione economica, il cancelliere Scholz a capo chino nonostante il sabotaggio da fuoco amico dei gasdotti russotedeschi, è un emblema dei tempi cupi che viviamo».

Partiamo dai democratici. Lei ha espresso giudizi duri su Kamala Harris. Qual è il principale nodo critico?

«La Harris è stata un modesto vice Presidente di Biden, incapace di ritagliarsi un proprio spazio.
Continuerà la disastrosa politica estera di Biden. Gli interessi in Ucraina dei democratici sono forti, come gli scandali di Hunter Biden hanno dimostrato. Sono il partito più comodo per le oligarchie delle armi e energetiche. Rivestono interessi geopolitici di valori messianici, etico-religiosi. Sono da questo punto di vista maggiormente pericolosi. Captano il consenso di una borghesia sprovveduta che crede sul serio in Ucraina stiamo difendendo la libertà dell’Europa. Slogan senza fondamento in quanto la minaccia russa non è stata mai argomentata razionalmente. Tutti i parametri spingono al contrario a considerare la postura della Russia difensiva e non offensiva. I ridenti Obama e Harris, abbracciati, cercano di impersonare per la borghesia benpensante e progressista, i valori democratici che a loro avviso il massacro di una generazione di giovani ucraini e il genocidio in Palestina ci aiutano a difendere».

Con il suo maggiore isolazionismo e una certa predisposizione a chiudere la partita ucraina, Donald Trump potrebbe rivelarsi preferibile dalla prospettiva europea?

«Trump è un imprenditore spregiudicato, il rozzo volto dell’America profonda, che attua politiche di destra e classiste all’interno del paese, è antifemminista e contrario alle libertà civili e all’aborto. Eppure essendo meno intriso di retorica rispetto ai DEM, parlando ai perdenti della globalizzazione, e rappresentando le tendenze isolazioniste del Paese, potrebbe essere maggiormente incline alla mediazione in Ucraina. In Palestina stenderà un tappeto rosso a Netanyahu e ci risparmierà i buoni sentimenti della Harris la cui politica a favore del genocidio a Gaza non è molto diversa da quella di Trump».

Infatti ciò che sembra legare i due candidati è la politica di appoggio a Israele a cui gli Stati Uniti non riescono a porre un freno. Quello che per noi è il “padrone americano” per Israele sembra un fratello maggiore piuttosto imbelle e debole. Qual è, in realtà, il rapporto fra i due Stati?

«Come spiega molto bene il politologo statunitense John Mearsheimer autore del libro La politica estera americana e la lobby di Israele i meccanismi corrotti delle elezioni statunitensi basati essenzialmente sulla fornitura di fondi dei donatori alla politica, rende la classe dirigente statunitense subalterna alla influente lobby di Israele che riunisce donatori cristiani e ebraici. La politica statunitense in Medio Oriente è decisa per molti aspetti a Tel Aviv».

Indipendentemente dall’esito elettorale, a voler intraprendere la strada giusta, l’Europa cosa dovrebbe fare per impedire che i conflitti in corso deflagrino in esiti catastrofici?

«L’Europa continentale e mediterranea unita dovrebbe far emergere la sua voce contro quella polacca e nordica. La mediazione in Ucraina basata sulla neutralità di Kiev può essere perseguita nell’ambito di una conferenza di pace con Russia e Cina. Israele va obbligato con sanzioni al cessate il fuoco permanente a Gaza. L’Europa deve chiedere il riconoscimento simbolico della Palestina e l’avvio di negoziati con tutti gli attori medio orientali, Russia e Cina. Dubito che avverrà».

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