Grande è la confusione sotto il cielo, diceva Mao Zedong. E noi aggiungiamo: soprattutto in Puglia. I referendum mascherati dalla valenza politica affondano con un’affluenza al 20%, sotto la già bassa media nazionale, contraddicendo la dottrina di Francesco Boccia: se fossero andati a votare 12.4 milioni di elettori - quanti erano i voti del centrodestra nelle ultime elezioni politiche -, questo risultato sarebbe stato un «avviso di sfratto» per il governo Meloni. Sullo sfondo, il caos politico.
Il possibile via libera al terzo mandato regionale ha risvegliato fantasie di ritorno: Michele Emiliano potrebbe tentare il colpo di coda, ma giura di no. Dice di voler fare «solo» il consigliere. Nichi Vendola, da par suo, medita amleticamente se tornare o meno sulla scena candidandosi in consiglio. Il centrosinistra non ha certezze: Antonio Decaro, indicato da mesi come candidato naturale alla presidenza della Regione, mantiene il silenzio. Le dimissioni di Delli Noci apprezzate sotto l‘’aspetto etico, salvo verificare con i tempi della magistratura la certezza della veridicità delle contestazioni. Intanto, l’inchiesta della Procura di Lecce l’ha travolto: dimissioni da consigliere e decadenza da assessore allo Sviluppo economico. Ironia della sorte, cambio degli equilibri nell’ambito dell’assemblea regionale, a svantaggio della giunta Emiliano, dato che il subentrato ha fatto il cambio di casacca, indossando l’azzurra di Forza Italia. Un terremoto.
Dall’altra parte, il centrodestra non ride. Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega brancolano nel buio. Da mesi cercano un candidato alla presidenza della Regione, ma non cavano un ragno dal buco. La prova è venuta da Taranto: il centrodestra si è presentato al primo turno con due candidati sindaco, Michele Tacente e Luca Lazzaro, per poi unirsi all’ultimo momento al ballottaggio – e male – contro il vincente Piero Bitetti.
Qui non c’è più una classe dirigente, ma una pesca a strascico nella società civile. Si scelgono candidati come nei luna park si pescano i pesciolini: per caso, senza visione, né preparazione. La responsabilità è anche di una legge elettorale che ha svuotato i partiti e premiato i «nominati» invece degli eletti. È finita la stagione della selezione interna, della formazione politica. E così, se Atene piange, Sparta non ride. La Puglia oggi è una regione sospesa.
Ha bisogno di un salto economico e industriale, ma vive il riflusso della deindustrializzazione. Negli anni del boom, Taranto ebbe la siderurgia, Brindisi la chimica. Ora restano le rovine. Come racconta il sindaco Marchionna nel suo romanzo «I figli della Montecatini», la grande industria è memoria da museo. E allora si ripiega sull’utopia del Mulino Bianco: turismo, eventi, Disneyland al posto delle fabbriche. Niente TAP, niente trivelle, niente rigassificatore, niente futuro. Il riformismo pugliese – quello vero, strutturato – è scomparso. Al suo posto, il civismo di plastica, che ha alimentato clientele, inchieste, processi. Proprio quel civismo ibrido ha permesso a Emiliano di conquistare la Regione, con una costellazione di liste che oggi si è disintegrata. La convenzione sentimentale con quell’elettorato è finita. Ora serve altro. Ma ancora non si vede nulla.
Nel frattempo, Emiliano è un ex ospite del civismo – non salutato, ma ormai congedato – che ha fatto ritorno nella casa madre: il Partito Democratico. Dopo averlo lasciato per esplorare le vie laterali del consenso, vi rientra per candidarsi alle prossime regionali, con in tasca il titolo di ex segretario e l’ambizione di essere protagonista. Michele Emiliano, invece, ha fatto la sua scelta e la persegue con ostinazione. Nessun passo indietro, nessun ripensamento: correrà per un seggio da consigliere regionale, ma resta il dominus del centrosinistra pugliese, con un’influenza che va ben oltre le intenzioni dichiarate. Antonio Decaro, al contrario, temporeggia. Ha fatto una «vita da mediano» che prende tempo, osserva, misura. Ma dietro l’attesa c’è forse la preoccupazione: la slavina giudiziaria partita da Lecce – che ha travolto il sistema di questi decenni e coinvolto, per vicende diverse, nomi di peso come Maurodinoia, Caracciolo, Delli Noci – rischia di contaminare anche i progetti futuri. Tanto più che il tempo, al momento, non manca.
La destra, ancora oggi, non ha trovato un candidato credibile da opporre. Si riunisce, litiga, rinvia. E nell’attesa, lascia campo libero al centrosinistra, seppur logorato, per scrivere – ancora una volta – il futuro della Regione.