Taranto al ballottaggio ha premiato nettamente Piero Bitetti, candidato progressista, che ha sconfitto con distacco Francesco Tacente, l’uomo del centrodestra a stop and go. Una sconfitta che pesa, e non solo per i numeri.
Tacente ha iniziato la corsa da outsider, sostenuto da una coalizione civica priva di Forza Italia e Fratelli d’Italia. Al primo turno, il centrodestra aveva scelto un altro nome: Luca Lazzaro, poi fermatosi al 19%. Solo in extremis, e con molte frizioni, si è arrivati all’apparentamento per il secondo turno, ma ormai era tardi. I cocci messi insieme in fretta e furia, non hanno retto alla prova delle urne.
Il voto di Taranto ha mostrato impietosamente la debolezza politica - e territoriale - del centrodestra. E non si ferma qui, ma è strutturata in tutta Puglia. Forza Italia e Fratelli d’Italia sono stati quasi assenti, con una classe dirigente più proveniente dalla provincia che cittadina, scollegata dalla realtà complessa e orgogliosa di una città che non ama sentirsi commissariata. Il risultato? Scarso impegno, mobilitazione debole e una base elettorale che ha risposto con freddezza. Non basta un comizio finale per scaldare gli animi e colmare un vuoto politico. Una seria autocritica, con un necessario ricambio ai vertici locali, appare oggi come il minimo sindacale.
Diversa la storia sul fronte opposto. Chapeau a Piero Bitetti, che ha condotto una campagna elettorale moderna, organizzata e vincente. Tra eventi in stile americano e una comunicazione efficace, capace di parlare ai media, ai social e persino agli influencer, Bitetti ha messo in campo esperienza e metodo. La sua «grande Berta» - macchina organizzativa ben oliata - non ha mancato un colpo. Uomo di lungo corso politico, Bitetti ha saputo intercettare malumori e paure. Ha parlato alla città reale, non solo alla sinistra. Ha puntato sulla «cultura del no» per guadagnare consensi tra il M5S e gli ambientalisti, ma ora arriva la prova più difficile: governare.
Taranto resta una città bellissima e problematica, «di mille colori e mille paure», dove la speranza si intreccia spesso con il fatalismo e l’imprecazione. I problemi sono davanti al portone di Palazzo di Città. L’ex Ilva - oggi Acciaierie d’Italia - è una ferita aperta: 1500 As e 4000 operai AdI in cassa integrazione, e soltanto Altoforno 4 in produzione e l’Acciaieria 1 in attività. L’eventuale acquirente l’azera Baku Steel Company tentenna dopo gli ultimi casi: lo scoppio dell’Altoforno 1 e la fuga di gas dall’Acciaierie 2. Sul siderurgico, il neo sindaco ha posto la chiusura dell’area a caldo e un no secco al rigassificatore, però, è una fondamentale condicio sine qua non per l’arrivo degli azeri a Taranto. C’è un clima di crisi che pesa come un macigno sull’economia locale. Ma c’è anche un’altra grana in arrivo: un nuovo processo civile d’appello potrebbe stabilire se il Comune debba restituire ben 198 milioni di euro a Banca Intesa, relativi al maxiprestito dei Buoni ordinari comunali del 2003. Un’eredità pesante.
Bitetti entra al Municipio con una vittoria piena, ma il cammino sarà tutto in salita. Taranto è una città che tutti citano, tutti giudicano, che tutto il mondo conosce, ma che pochi riescono davvero a comprendere. Adesso, tocca a lui darle una direzione. E soprattutto un’anima.