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Tra Kiev e Gaza ora proviamo a pensare alla ricostruzione

 
Piero Liuzzi

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Piero Liuzzi

Tra Kiev e Gaza ora proviamo a pensare alla ricostruzione

È tempo di grandi polemiche nello scenario politico. E l’Unione Europea non ha una tradizione lusinghiera nella gestione delle grandi crisi internazionali

Domenica 03 Novembre 2024, 15:32

È tempo di grandi polemiche nello scenario politico. Vabbè, la materia non manca. Eppure, a rischio di essere eccentrici, viene in mente qualche considerazione sulla nascente Commissione Europea. Il punto non è solo che eredita dalla precedente le guerre russo-ucraina e israelo-palestinese, ma che, soprattutto e auspicabilmente, ne eredita un possibile dopoguerra che non si presenta per nulla semplice.

Ammesso che si trovi una soluzione che consenta a Mosca ed a Kiev di salvare la faccia o addirittura di gabellare per vittoria una mediazione, viene al pettine il nodo della abnorme opera di ricostruzione fisica, civile e, ammettiamolo pure, umana e psicologica di un paese sterminato (nel duplice senso della parola) e questo senza che abbia necessariamente a che vedere con l’ingresso o meno nell’Unione Europea.

Anche se tutto sembra congiurare per una guerra senza fine, è possibile e massimamente auspicabile che, in vigenza di questa Commissione Europea, anche l’asse Beirut-Tel Aviv-Gaza trovi se non la pace almeno una tregua. Questo, ancora una volta, implica una ancor più difficile e ardua opera di ricostruzione materiale e non solo. Ma qui la partecipazione credibilmente sarebbe più ampia.

Comunque l’Unione Europea non potrà essere spettatrice.

Se il Covid ha generato il Next Generation EU; se il Piano Draghi pone il problema della competitività; se intanto ci chiediamo se avremo negli Stati Uniti un partner più o meno distaccato, una quasi certezza è che l’Ucraina, esaurita la fase militare, sarà soprattutto un problema europeo. La ragione è semplice: che alla Casa Bianca ci sia Harris o Trump, entrambi sono convinti, che l’incendio ucraino sia stato innescato da Berlino con ampie complicità bruxellesi.

Diciamo che l’Unione Europea non ha una tradizione lusinghiera nella gestione delle grandi crisi internazionali. Colta di sorpresa dalla caduta del Muro di Berlino, ha proceduto a una rapida annessione dei Lander orientali alla Bundesrepublik con esiti elettoralmente non proprio felici, per non dire di alcune frettolosità anglo-franco-italiane nell’adozione dell’euro. Questo significa che qualcosa non ha funzionato. In ordine sparso nella gestione delle guerre di secessione iugoslave, l’Europa ha atteso che fossero gli americani a spegnere il fuoco.

Ora c’è il rischio concreto che l’Ucraina sia il conto da pagare dopo qualche decennio di spensieratezze ragionieristiche.

Viene in mente che secondo i parametri europei, gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l’Iran, la Corea del Nord, l’India verrebbero dichiarati «Stati falliti».

Si dà il caso però che siano loro a dare le carte. I «frugali» nelle mappe geopolitiche che contano, semplicemente non esistono.

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