Sabato 06 Settembre 2025 | 12:30

Il vento non cambia, Le Pen sfonda ancora fra le classi popolari

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

Il vento non cambia, Le Pen sfonda ancora fra le classi popolari

Il Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella ha davvero registrato un flop alle legislative francesi?

Mercoledì 10 Luglio 2024, 14:00

14 Luglio 2024, 17:23

Ma il Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella ha davvero registrato un flop alle legislative francesi? Mettiamo in fila gli eventi: la miccia s’innesca con le Europee di giugno che segnano la vittoria del RN con il 31,7% dei voti. Il presidente della repubblica, Emmanuel Macron, registra la sconfitta e «chiama» le legislative. Al primo turno, Le Pen e alleati sono ancora primi con il 33,2%, una sorta di record nella storia della destra. Si va dunque al secondo round, quello che porta ai ballottaggi per determinare la maggioranza dei seggi all’Assemblea nazionale. E chi arriva primo? Sempre il Rassemblement National, almeno in termini di voti assoluti: è 8.745.240 il numero esatto delle «croci» apposte sul simbolo lepenista, mentre il Nuovo Fronte Popolare di Melenchon si ferma a poco più di 7 e Macron a 6,3.

Ma qui è il sistema elettorale francese a mettere in fuorigioco la destra grazie al patto di «desistenza» fra la sinistra e i macroniani che hanno deciso, collegio per collegio, di non farsi la guerra fra loro ma di convergere sul candidato più forte per mettere al tappeto Le Pen e Bardella. La tattica è riuscita perché il Rn - con lo champagne già pronto da stappare - si è ritrovato addirittura terzo con il Nuovo Fronte Popolare primo e Ensemble!, il movimento che fa capo all’inquilino dell’Eliseo, di cui qualcuno aveva già preconizzato l’estinzione, insperatamente resuscitato al secondo posto. Mettetela come volete ma il machiavellismo di Macron, anche in questo senso molto simile alla sua copia italiana, Matteo «micron» Renzi, ha rimesso al centro una palla che il Rassemblement era convinto di aver già spedito in fondo al sacco.

L’algebra elettorale, però, porta con sé alcune considerazioni interessanti. Innanzitutto, potremmo aver finalmente capito quale sia, almeno in questa fase, la funzione storica della sinistra radicale e della pregiudiziale antifascista che unisce in nome della resistenza: salvare il Potere in difficoltà. Nulla, infatti, sembrava poter tenere in vita Macron, l’ex ragazzo prodigio «bollito» da riforme economiche impopolari e da una furia bellicista che, qualora lo stessimo a sentire, ci porterebbe tutti, dritti dritti, verso la terza guerra mondiale nucleare. Nulla almeno finché non è intervenuto il «soccorso rosso» di Melenchon e compagni. I quali, immediatamente dopo, sono corsi in televisione a reclamare il governo del Paese mentre i loro giovani sostenitori coloravano le piazze invocando il cambiamento e, occasionalmente, vivacizzando il fine serata con qualche scontro con le forze dell’ordine. Tutte esibizioni di verginità rivoluzionaria dopo l’orgia elettorale con il giovane/vecchio arnese di Nato, Europa, capitalismo, Israele e di tutto quello che il Nuovo Fronte Popolare afferma di voler avversare.

Non solo. Macron, adesso, le tenterà tutte per costruire una coalizione che tenga fuori proprio la sinistra radicale raggranellando consensi tra i movimenti centristi e «spolpando» il Fronte popolare delle sue componenti più moderate, cioè verdi e socialisti, che già hanno aperto al dialogo. Oppure c’è l’ipotesi di un governo tecnico all’italiana che, certamente, di sinistra non sarà. A meno che l’Eliseo non decida di dare la palla a Melenchon per farlo schiantare con un esecutivo di minoranza, il leader della sinistra d’Oltraple rischia seriamente di ritrovarsi estromesso proprio dal cadavere che lui aveva resuscitato. Da eroe dell’antifascismo a utile idiota del Potere il passo è brevissimo.

La sinistra radicale ha poi un altro problema. Perché il voto non è solo questione di quantità, cioè di numeri, ma anche di qualità. Chi ha votato per chi? Le rilevazioni di Ipsos ci raccontano che la maggioranza (54%) dei francesi che si auto-definiscono «svantaggiati» ha scelto il Rassemblement National, con particolare riferimento a chi non arriva alla fine del mese (41%) e chi è appeso ai prestiti per tirare a campare (46%). Il primato nelle classi popolari, nelle periferie, nelle zone rurali è conclamato. D’altra parte, il Nuovo Fronte Popolare conquista le realtà urbane evolute, da Lione (dove registra l’en plein) a Parigi dove porta a casa 12 circoscrizioni su 18. È un voto urbanizzato, colto, giovanile, spesso ideologico, completamente diverso da quello del Rassemblement che però conta proprio sul sostegno popolare per l’assalto all’Eliseo del 2027. Altro che antifascismo. Finché le classi popolari vedranno nei sovranisti il «sindacato degli ultimi» la battaglia tornerà a riproporsi identica a se stessa. Nonostante gli appelli di intellettuali di velluto e calciatori miliardari.

La Francia, alla fine, è uno spaccato semplificato di un canovaccio che si ripete simile a se stesso a ogni latitudine. A cominciare dai limiti delle forze in campo. I sovranisti pagano non certo i toni dissonati sull’Ucraina, ma l’assenza di una classe dirigente credibile, efficace, autorevole da proporre sui territori. La sinistra paga invece il rapporto opaco con il Potere che finisce sempre per soccorrere, nonostante dichiari di volerlo abbattere. E Macron? Lui paga tutto. Ma ha sempre Machiavelli sul comodino a ricordargli come fare a fregare gli uni e gli altri. E, a quanto pare, al momento tanto basta.

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