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Gli atti non c’entrano: la lentezza della giustizia è questione di mentalità

 
Enzo Augusto

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Enzo Augusto

Gli atti non c’entrano: la lentezza della giustizia è questione di mentalità

Qualche perplessità però sui limiti dimensionali degli atti imposti obbligatoriamente per decreto. Non tutti, anzi pochi, hanno il dono della concisione. Molti hanno bisogno di più parole per argomentare

Giovedì 28 Settembre 2023, 13:24

Giorni fa, in tribunale avevo due cause che dovevano essere decise con sentenza. Due impugnative di licenziamento, urgenti per definizione e rito, con due lavoratori da mesi, anni, senza lavoro, in attesa di giustizia.

Il giudice incaricato, che è persona perbene e ammodo, mi ha subito detto che non avrebbe potuto deciderle perché doveva decidere altre cause ancora più vecchie (!). Poiché è persona perbene e ammodo le ha rinviate a breve e mi ha assicurato che in quella, prossima, data, le avrebbe decise. I lavoratori erano, giustamente infuriati, e ho dovuto pure calmarli e farli ragionare. Perché anche io, ovviamente deluso e dispiaciuto, faccio comunque parte di questo sistema perverso (il sistema giudiziario) che non è attrezzato e finalizzato a rendere un servizio in tempi adeguati. E spesso gira a vuoto. Storie di ordinario disservizio, quindi, per i quali noi avvocati siamo vaccinati più che per il Covid.

Senonché mi è venuto in mente un articolo pubblicato sulla «Gazzetta» del 13 settembre del dottor Salvatore Casciaro, segretario generale dell’Associazione Nazionale Magistrati, il sindacato dei giudici, per intenderci. Il dottor Casciaro è anche lui persona perbene, un ottimo magistrato e un ottimo rappresentante degli interessi della categoria. E, nell’articolo, dice cose giustissime e sensate. E cioè che gli atti giudiziari devono essere improntati a brevità ed essenzialità. Sono assolutamente d’accordo, ma la concisione è una conquista.

Io, nei miei atti giudiziari, scrivo una pagina in meno ogni anno che passa. I giovani colleghi di studio, di cui rivedo gli atti, sanno delle mie lotte per indurli a scrivere l’essenziale, evitando ripetizioni, inutilità e superfluità (solo ciò che serve. Il resto è inutile, spesso dannoso). Completamente d’accordo con il dottor Casciaro, quindi.

Qualche perplessità però sui limiti dimensionali degli atti imposti obbligatoriamente per decreto. Non tutti, anzi pochi, hanno il dono della concisione. Molti hanno bisogno di più parole per argomentare. La limitazione per decreto può essere un vulnus al diritto di difesa.

E poi, diciamola tutta, qualsiasi lettore navigato sa cosa si può saltare, nella lettura, e ciò che deve essere approfondito. Si può raggiungere il risultato anche senza rifarsi al metodo di lettura veloce. Woody Allen lo imparò e lesse Guerra e Pace in un’ora. «Parla della Russia» fu il suo commento.

Poi bisogna anche tener conto delle strategie difensive. Ho fatto pratica - long time ago - presso lo studio dell’avvocato Michele Spinelli fu Mario, il miglior avvocato dell’epoca, e non solo. Ci andai il giorno dopo la laurea e ci rimasi cinque anni, fondamentali per la mia formazione. L’avvocato Spinelli correggeva i miei atti e spesso mi incitava a ripetere i concetti. Io replicavo «ma l’abbiamo già detto» e lui «diciamolo un’altra volta» e nel suo dialetto bitontino, che ci accomunava, sosteneva che quei concetti «avevan trasì in dalla capa» dei giudici. Scusate le rimembranze, ma la questione che voglio porre è questa. La magistratura associata si duole che l’avvocatura si sia opposta a questi termini stabiliti per legge ed abbia chiesto di ampliarli, così vanificando la riforma. I giudici lasciano così intendere che la brevità degli atti sia indispensabile per contrastare la lentezza dei processi. Ora, che la lentezza dei processi vada contrastata è cosa ovvia. Che sia un danno enorme per l’economia, altrettanto, che sia un danno per le parti e gli avvocati è cosa ancora più grave e importante (anche se spesso, questo dato, viene sottovalutato), ma che la lentezza della giustizia dipenda dalla lunghezza degli atti giudiziari mi sembra quantomeno discutibile, e paradossale.

La lunghezza (eccessiva, abnorme, più volte condannata dagli organismi europei) della giustizia italiana, penale, ma anche soprattutto civile, dipende certo dalla legislazione processuale, spesso confusamente modificata e formulata in via teorica da chi non pratica con frequenza le aule giudiziarie. Ma dipende soprattutto, e l’ho detto più volte, da una mentalità (di giudici e avvocati, insieme) che non si riesce ad estirpare. Il sistema non è in grado di essere efficiente in maniera veloce e, se vogliamo, anche sommaria. Ha bisogno di spaccare il capello in quattro con mentalità e riti anacronistici. Meglio un provvedimento anche non finemente argomentato, ma rapido (se è errato, posso almeno appellarlo) che un provvedimento anche ben argomentato ma tardivo e inutile. È una mia opinione personale, probabilmente eterodossa.

Stimo il dottor Casciaro e lo apprezzo molto. Perciò mi permetto di metterlo in guardia rispetto ai miraggi della modernità tecnologica. La prima vittima potrebbe esserne proprio il magistrato con sentenze redatte dall’intelligenza artificiale. Ma dare la colpa gli avvocati e alla lunghezza dei loro atti, per la intollerabile lentezza della giustizia italiana, mi pare ingeneroso e fuorviante.

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