Un giorno questa terra sarà bellissima»: in queste parole di Paolo Borsellino c’è tutta la passione civile e la speranza di trasformare la legalità in energia di cambiamento trasmessa ai giovani, anche in città difficili come quelle del Sud. Il magistrato siciliano, eroe civile e martire della lotta antimafie, è da sempre un pilastro del Pantheon della «Generazione Atreju», la nidiata di ragazzi che - negli anni ottanta-novanta - scelsero, sulle onde dell’idealismo e contro lo spirito del tempo di militare nella destra politica. La strada per Palazzo Chigi ha dunque una tappa fondante proprio a Via D’Amelio.
Questo fuoco del cambiamento è stato tra le scintille della militanza politica del presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Ad inizio anni novanta, sull’onda emotiva generata dalle infami stragi di mafia che travolsero Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, decise di schierarsi e di varcare la porta della sezione missina della Garbatella nella Capitale.
Il magistrato era stato in gioventù un militante del Fuan, scriveva sulla rivista degli universitari palermitani di destra, che aveva un nome evocativo: si chiamava «Fanalino» quella testata controcorrente, il «fanalino degli ultimi», dei ragazzi che sognavano che la formazione, l’università e la politica potessero essere liberati dalle incrostazioni clientelari e dalle ruggini mafiose. Era un «patriota», di simpatie monarchiche, un ragazzo studioso della Facoltà di giurisprudenza di Palermo, e i suoi compagni di corso lo elessero anche nel parlamentino universitario.
Nel 1990 il Fronte della Gioventù, organizzazione dei giovani del Msi, tenne a Ortigia di Siracusa la festa nazionale. Tra gli ospiti d’onore intervenne proprio Paolo Borsellino, accompagnato dall’onorevole Pippo Tricoli e da Gianni Alemanno e Fabio Granata. La foto qui accanto immortala Borsellino mentre visita gli spazi dell’appuntamento comunitario con sullo sfondo gli striscioni e i simboli del movimento. Si racconta anche che prese in giro i dirigenti giovanili per i volantini troppo terzomondisti e guevariani («Che siete diventati comunisti?»).
La lotta alle mafie, del resto, era un caposaldo dei ragazzi della destra sociale, cresciuti con gli epici racconti delle nottate di lavoro in Commissione antimafia del leader eretico Beppe Niccolai, la cui relazione parlamentare fu apprezzata ed elogiata da Leonardo Sciascia, allora eletto nella fila del Pci. E quella scelta di campo era stata corroborata dall’impegno di un parlamentare pugliese missino come Mimmo Mennitti, che sempre nell’Antimafia aveva svolto ruoli di primo piano contro un certo conformismo imperante. Missino e iscritto al Fdg era Vito Schifani, agente di polizia morto a Capaci accanto a Falcone, come missino era un giornalista e martire antimafia come Beppe Alfano, che pagò - a Barcellona Pozzo di Gotto - con la vita la sua schiena dritta nella professione. Nel 1992, inoltre, ricordano le cronache parlamentari, nelle tragiche giornate in cui le Camere non riusciva a eleggere il successore di Francesco Cossiga al Colle, il Msi votava - su indicazione del capogruppo Giuseppe Tatarella - il 19 maggio proprio Paolo Borsellino come candidato di bandiera (raccolse 47 voti).
L’intuizione della destra di Giorgia Meloni? È stata quella di non accontentarsi del martirologio antimafia ma di rendere la cultura della legalità un carburante per una nuova alfabetizzazione politica meridiana: nasce così la fiaccolata con tanti ragazzi che si svolge ogni anno a Palermo per ricordare Paolo Borsellino. La genesi della manifestazione la ricostruisce Ciccio Ciulla, memoria storica dei movimenti tricolori in Sicilia: «L’idea della fiaccolata nasce da una fotografia. A pochi mesi dalla morte di Falcone, nel quartiere della Kalsa venne organizzata una fiaccolata per ricordarlo. A quella manifestazione partecipò anche Paolo Borsellino e fu immortalato con una fiaccola mentre camminava silenzioso. Quella foto fu usata dal Gruppo parlamentare del Msi all’Assemblea regionale siciliana per un manifesto che recitava questo testo: “Fiaccola accesa nel buio della notte”. Il 19 luglio del 1996 decidemmo di fare una fiaccolata secondo il messaggio che la foto di Paolo ci tramandava. Al tramonto, con le fiaccole, in silenzio. Partenza da Piazza Vittorio Veneto, arrivo in Via D’Amelio e chiusura con il canto dell’inno “Il domani appartiene a Noi”. All’inizio eravamo poche centinaia, con gli anni è diventata un appuntamento di popolo».
Il presidente del Consiglio ha raccontato la connessione sentimentale personale e politica della giovane destra con il mito di Paolo Borsellino nel best seller «Io sono Giorgia». Di questa tensione per la lotta a tutte le mafie ci sono segni concreti nell’azione politica del governo di questi mesi, che ha mantenuto una linea intransigente sull’ergastolo ostativo e ultimamente sul concorso esterno (generando qualche attrito con il ministro Nordio), in nome di una guerra senza quartiere al cancro criminale che strangola la società meridionale e non solo.
Resta senza tempo, infine, l’insegnamento che Borsellino, in linea con il monito del poeta francese Robert Brasillach, trasmise ai giovani invitando in modo perentorio a non aver paura delle mafie e dei sistemi di potere criminale: «Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola».