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Dal 2035 auto solo «e-fuel» ma per i biocarburanti nuova vita tra aerei e navi

 
Angela Stefania Bergantino

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Angela Stefania Bergantino

Dal 2035 auto solo «e-fuel» ma per i biocarburanti nuova vita tra aerei e navi

Non saranno vanificati i massicci investimenti di Eni in combustibili eco-sostenibili

Mercoledì 29 Marzo 2023, 15:07

La decisione di ieri a Bruxelles secondo cui dopo il 2035 non potranno prodursi motori alimentati a biocarburanti ma solo con e-fuels, cioè grazie all’idrogeno, sembra condannare il nostro Paese, che ha puntato sulla produzione verde di carburanti derivati dall’agricoltura e dai rifiuti verdi e alimentari. Ma non tutto è perduto. Ci sono altri settori dei trasporti in cui gli investimenti massicci di ENI nei biocarburanti potrebbero tornare utili, ad esempio nel trasporto aereo e in quello marittimo.

Prima di tutto alcuni dati. L’Unione Europea è il terzo produttore al mondo di anidride carbonica, il gas che è il principale responsabile del riscaldamento climatico e del cambiamento delle condizioni di vita sulla terra. Le emissioni di gas serra di aerei e di navi sono solo l’8% delle emissioni complessive dal territorio dell’Unione, ma sono le fonti in più rapida ascesa. In confronto, quelle del trasporto su strada sono molto maggiori ma hanno una soluzione tecnologica a portata di mano, i motori elettrici.

Auto e furgoni possono infatti «compensare» più facilmente di aerei e navi il considerevole peso delle attuali batterie al litio, cosa che risulta impossibile per gli aerei e le navi tenuto conto della stazza. Il secondo problema è dato dalla capacità di carica delle attuali batterie al litio: mentre per le auto la necessità di una ricarica ogni 3-400 km di percorrenza rappresenta una limitazione all’uso, ma per la prossima generazione di auto elettriche questo limite dovrebbe alzarsi a 600 km, per un aeromobile ciò costituisce un ostacolo insormontabile.

Cosa fare dunque per ridurre le emissioni per il settore aereo? Le linee di attacco sono diverse. La prima è costituita dalle quote di emissione. Dal 2005 è in vigore per tutti i settori industriali un sistema di scambio delle quote di emissione di Co2 basato sul principio «chi inquina paga». Fino ad oggi le compagnie aeree hanno beneficiato di una considerevole parte gratuita di quote di emissione (e la totale gratuità per i voli provenienti e diretti fuori dall’UE). Tale forma di incentivazione si ridurrà però dal 2025: questo vuol dire che volare costerà di più e ciò di conseguenza spingerà i costruttori e i vettori aerei a investire in soluzioni tecnologiche diverse. Quali?

In primo luogo l’uso di combustibili sostenibili, prodotti da olio da cucina usato, carburante sintetico o idrogeno. Questi dovranno costituire il mix utilizzabile dal trasporto aereo europeo per una quota che dal 2% del 2025 salirà al 37% entro il 2040 e all’85% entro il 2050. Ciò naturalmente a valere per tutti i mezzi e le strutture legate al trasporto aereo, ad esempio negli aeroporti.

Più complessa è la situazione nel settore marittimo, non tanto per questioni tecniche quanto per la struttura del mercato dei trasporti via mare. Il 90% delle emissioni di gas serra è dovuta, infatti, in questo settore, alle navi di stazza superiore alle 5 mila tonnellate. Si tratta di poco meno di 11 mila navi di vario tipo battenti bandiera di uno dei Paesi della UE, dalle navi ro-ro che movimentano camion alle grandi navi passeggeri, dalle portarinfuse alle navi cisterna e alle portacontainer.

L’introduzione del sistema delle quote di emissione, e più in generale l’introduzione di limiti alle emissioni di gas serra, può facilmente produrre la delocalizzazione delle imprese di trasporto e l’ulteriore entrata nel mercato del trasporto nello spazio economico europeo di soggetti esterni. I quali sono magari tenuti a osservare meno vincoli ecologici, o non ne sono tenuti per nulla, con l’esito di generare un doppio risultato negativo: impoverire le aziende di trasporto europeo e mantenere alti livelli di emissioni nocive.

La speranza è, dunque, che alcuni di questi nodi siano sciolti grazie a soluzioni tecnologiche che per il momento non sono in vista. Anche per questo, parte dei fondi ottenuti dal sistema dello scambio delle quote di emissione sono destinati alla ricerca sulla decarbonizzazione. Si tratta di una strada lunga e che, alle condizioni tecnologiche attuali, spinge verso alcune scelte obbligate e costose che devono essere prese subito per avere la possibilità che manifestino gli effetti positivi entro qualche decennio. Una prospettiva che è difficile assumere tanto per la politica quanto per il senso comune.

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