Sabato 06 Settembre 2025 | 20:43

Il coraggio di ripartire per aprire strade di pace

 
Mons. Filippo Santoro

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Mons. Filippo Santoro

Il coraggio di ripartire per aprire strade di pace

L’antidoto può e deve essere il dialogo fraterno; è l’esortazione che ci rivolge ancora una volta Papa Francesco: «Disinneschiamo i conflitti con l’arma del dialogo»

Sabato 31 Dicembre 2022, 13:58

Questi sono i giorni dei bilanci e dei propositi, li facciamo tutti, pubblici e intimi, personali, secondo le circostanze. Siamo appena usciti dalla pandemia, sebbene il virus sia ancora oltre la porta, e ricordiamo bene quanto ne fossimo spaventati e quanto non chiedessimo altro che cure e salute per noi e i nostri cari. Abbiamo attraversato quei giorni terribili abbracciandoci l’un l’altro, sebbene solo metaforicamente, distanti ma uniti dal desiderio di ricominciare ma rinnovati. È bastato tornare alla propria routine perché gran parte di quei propositi fossero disattesi, non possiamo negarlo! Paiono lontani i giorni delle veglie di preghiera, del dolore per i morti e della paura per i vivi; lontani quelli di «andrà tutto bene».

La crisi economica legata proprio all’emergenza pandemica ha fatto sentire i suoi effetti, ha toccato da vicino tante aziende e, conseguentemente, tante famiglie. Poi è arrivata la guerra alle porte di casa, in Ucraina. C’era già la guerra, c’è sempre stata, da noi arrivava solo la sua eco lontana, portata anche dai disperati che ne sono sempre in fuga, che affollano i campi profughi o che attraversano mari e montagne in cerca di pace.

La guerra alle porte di casa no, non potevamo immaginarla noi cresciuti nel sogno dell’Europa unita e pacificata. Invece è arrivata, crudele, sanguinaria, distruttiva, inaccettabile. Lo ha detto papa Francesco: la guerra è sempre un fallimento! Che la guerra sia «madre di tutte le povertà», e lasci «il mondo peggiore di come lo ha trovato», che sia «un fallimento della politica e dell’umanità», lo dimostrano, ha detto il Papa, «le lezioni dolorosissime del secolo Ventesimo, e purtroppo anche di questa prima parte del Ventunesimo», in cui, dimenticando Hiroshima e Nagasaki, si è tornato a minacciare l’uso delle armi nucleari. «Di certo, non è questa l’era post-Covid che speravamo o ci aspettavamo. Infatti, questa guerra, insieme a tutti gli altri conflitti sparsi per il globo, rappresenta una sconfitta per l’umanità intera e non solo per le parti direttamente coinvolte. Mentre per il Covid-19 si è trovato un vaccino, per la guerra ancora non si sono trovate soluzioni adeguate. Certamente il virus della guerra è più difficile da sconfiggere di quelli che colpiscono l’organismo umano, perché esso non proviene dall’esterno, ma dall’interno del cuore umano, corrotto dal peccato (cfr Mc 7,17-23)» (Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace 2023).

L’antidoto può e deve essere il dialogo fraterno; è l’esortazione che ci rivolge ancora una volta Papa Francesco: «Disinneschiamo i conflitti con l’arma del dialogo».

Il dialogo! Perseguiamolo sempre, anche quando tutto ci appare perduto. Combattiamo la paura, la paura non porta mai buoni frutti, tutt’altro, ci porta a proteggere quel che abbiamo alzando muri ed individuando nemici. Ricordiamo le parole di san Giovanni XXIII che nella Pacem in terris scriveva: «Si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace».

«Dall’esperienza della pandemia è derivata più forte la consapevolezza che invita tutti, popoli e nazioni, a rimettere al centro la parola “insieme”. Infatti, è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi. (…) Solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali».

Su di noi, al riparo dalle bombe, dal freddo, gravano solo le conseguenze economiche, l’aumento dei costi dell’energia incide pesantemente sui beni di consumo, e a farne le spese sono sempre le aziende e i ceti più fragili, più esposti. Lo sanno bene i nostri parroci, i nostri volontari, che fanno sempre più fatica a far fronte alle necessità primarie di tante famiglie.

A Taranto, sulla nostra cara città, gravano sempre i fumi del siderurgico, che si addensano invece che dipanarsi. Facciamo davvero fatica a conservare la speranza quando aumenta senza soluzione di continuità il numero dei lavoratori senza stipendio a fronte di condizioni sempre meno stringenti a contenimento delle emissioni rivenienti dalla produzione. Tutto questo grava come un macigno su una città che, se pure ferita, non rinuncia a immaginare e a lavorare per un futuro diverso.

Il mio invito alla fine e al principio di ogni anno è a alla speranza. Ad una speranza reale.

La speranza, dice ancora Francesco: «È una virtù che non delude mai: se tu speri, mai sarai deluso», è una virtù concreta, «di tutti i giorni perché è un incontro. E ogni volta che incontriamo Gesù nell’Eucaristia, nella preghiera, nel Vangelo, nei poveri, nella vita comunitaria, ogni volta diamo un passo in più verso questo incontro definitivo» (Omelia, 23 ottobre 2018). «La speranza ha bisogno di pazienza», proprio come bisogna averne per veder crescere il grano di senape. È «la pazienza di sapere che noi seminiamo, ma è Dio a dare la crescita» (Omelia, 29 ottobre 2019). La speranza non è passivo ottimismo ma, al contrario, «è combattiva, con la tenacia di chi va verso una meta sicura» (Angelus, 6 settembre 2015).

Lo so benissimo amici miei, l’ho detto più e più volte, i tempi sono difficili ma la nostra fede deve farci balzare in avanti, per essere costruttori di pace e annunciatori di speranza. Se la paura e lo scoraggiamento ci paralizzano, la luce del Cristo apparso in mezzo a noi ci spinge in avanti. Molto semplicemente non vi faccio un augurio ma un invito, quello che è risuonato in tutto il tempo di avvento nei bellissimi Vangeli dell’infanzia e che è spesso il primo accenno dopo il sorriso del Signore: Non abbiate paura, non temete!

Buon Anno

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