Può sembrare paradossale che un ex magistrato, per anni a capo di un’importante Procura, snoccioli nelle sue linee programmatiche – presentate in Parlamento in qualità di ministro della Giustizia – una serie di modifiche radicali all’attuale assetto (anche ordinamentale) del processo penale che investono proprio l’organo dell’accusa: dalle intercettazioni all’obbligatorietà dell’azione penale, per finire alla separazione delle carriere giudicanti e requirenti.
Tuttavia, chi conosce la storia di Carlo Nordio sa che non è così, essendo da sempre la toga trevigiana un pubblico ministero «atipico», un magistrato spesso «contro» i suoi stessi colleghi.
Più in particolare, schierato contro le distorsioni legate all’uso non sempre corretto di taluni strumenti investigativi e alla deleteria influenza della politica su alcuni settori della magistratura e sulle relative rappresentanze istituzionali, a partire dal CSM (investito, come sappiamo, da scandali che ne hanno profondamente delegittimato l’immagine). Prevedibile e inevitabile – allora – la reazione dell’ANM, che per bocca del suo presidente Giuseppe Santalucia ha bollato come «vago e ingeneroso» il guardasigilli per quanto detto a proposito dell’uso concreto delle intercettazioni, paventando un colpo alla democrazia derivante dallo «stravolgimento» della Costituzione che l’attuazione delle altre riforme annunciate imporrebbe.
È possibile affrontare con un approccio scevro da condizionamenti politici e da logiche di schieramento i temi richiamati dal ministro?
L’arte di ascoltare è considerata il secondo mestiere più antico del mondo, ma con meno principi morali del primo (P. Szendy, Intercettare, 2008): esiste un vero e proprio piacere nell’attività dello spiare, nell’entrare nelle vite degli altri per carpirne i segreti (M. Filoni, Fenomenologia dello spione, 2008). Un’autentica pulsione primaria dell’uomo, come tale ineliminabile. Tutto ciò, trasfuso in ambito giudiziario, comporta innegabili vantaggi – specie in indagini relative a fenomeni criminali complessi – ma anche possibili derive. È di queste ultime che si occupa Nordio, proponendo di intervenire di fronte ad un «uso eccessivo e strumentale» delle captazioni ed alla «diffusione talvolta selezionata e pilotata» dei contenuti, con effetti non di rado devastanti per la sfera personale e lavorativa degli interessati (non sempre peraltro coinvolti in un procedimento penale).
Insomma, non si tratta di delegittimare le intercettazioni – il cui uso, evidentemente, nessuno potrebbe mettere in discussione, tanto più oggi che l’evoluzione tecnologica ne ha accresciuto in maniera esponenziale le potenzialità e, dunque, l’efficacia investigativa – ma di contrastarne l’uso distorto, che le trasforma talvolta, come ha affermato il guardasigilli, in uno «strumento micidiale di delegittimazione personale e spesso politica», oscurando l’inviolabilità della libertà e della segretezza di ogni forma di comunicazione sancita dall’art. 15 della Costituzione.
Che la questione sia scottante lo dimostrano i reiterati interventi del legislatore sulla disciplina processuale delle intercettazioni nel corso degli anni, con l’intento – assai arduo – di conciliare esigenze investigative, riservatezza e diritto di cronaca. Esigenze agli antipodi, certo, ma la cui frizione diventa evidente quando non vengono rispettate le regole del gioco. Quando, cioè, il contenuto delle conversazioni e delle comunicazioni captate viene inopinatamente diffuso pur essendo coperto da segreto o, addirittura, estraneo alla vicenda giudiziaria per la quale l’intercettazione è stata disposta, alimentando un gossip giudiziario che soddisfa quella pulsione primaria di cui prima si diceva rispetto alle vicende private di personaggi pubblici, danneggiando spesso irrimediabilmente quest’ultimi anche quando magari, a distanza di anni, escono indenni dal processo.
È questo il senso – al di là di ogni strumentalizzazione – delle dichiarazioni di Nordio quando promette di vigilare «in modo rigoroso su ogni diffusione che sia arbitraria e impropria» o ispezioni immediate e rigorose ogniqualvolta vi sarà una violazione del segreto investigativo con la diffusione dei contenuti delle intercettazioni.
Restituire, insomma, lo strumento delle intercettazioni alla sua funzione naturale, tutelando i potenziali destinatari – specie ora che il progresso tecnologico consente di monitorare l’esistenza di ciascuno nelle sue varie espressioni – da invasioni indebite e nocive della sfera individuale.