Se volessimo usare una metafora calcistica, potremmo dire che il primo tempo di questa partita delle regionali in Puglia non è stato per niente esaltante. Anzi, è stato uno spettacolo poco edificante e, sotto molteplici punti di vista, persino preoccupante, almeno per chi crede nel ruolo della politica non come prova muscolare e pratica di protagonismo individuale, ma come azione programmatica e soluzione dei problemi più urgenti. Anzitutto consideriamo da quanto tempo le persone presenti sugli spalti (gli elettori) sono in attesa di capire non solo chi siano i calciatori che nelle prossime settimane scenderanno in campo (i candidati presidenti), ma anche chi giocherà con loro e in quale ruolo: regista, centravanti di sfondamento, terzino fluidificante (citazione-omaggio ad Helenia Herrera e Giacinto Facchetti, sic!). Il punto è soprattutto questo, se si considera la telenovela estiva del centrosinistra.
Antonio Decaro, «mister preferenze» alle europee, finora di gol ne ha segnati. E non a porta vuota. Forte dei risultati conseguiti finora, si è impadronito del pallone e ha detto chiaro e tondo che la palla la vuol tenere lui perché si considera il più bravo. È disposto a passarla solo a quelli che considera molto affini al suo modo di calciare la sfera. In pratica, quasi tutti della sua squadra, tranne chi finora ha gestito il potere in Puglia. È qui che si è innescato il cortocircuito prima con Michele Emiliano e poi con Nichi Vendola. Il primo sembra aver fatto un passo di lato, più che uno indietro. Ovviamente vedremo in che cosa consiste nel concreto questo inaspettato atto di generosità. Soprattutto verificheremo il modo in cui l’attuale governatore della Puglia gestirà l’enorme delusione per essere stato costretto ad andare in panchina per volontà manifesta e reiterata di colui che considerava fino a qualche mese fa il figlio prediletto. Emiliano è il «padre politico» di Decaro. Con il tempo ha acquisto molto potere: dieci anni da sindaco di Bari e altrettanti da governatore della Puglia sono davvero tanti. Aveva pensato di poter essere lui l’artefice dei giochi in regione, ma così non è stato. Il secondo, ovvero Nichi Vendola, è riuscito a spuntarla. Forte dell’appartenenza ad AVS, alleato strategico della segretaria del Pd Elly Schlein e dell’assist fattogli dal Movimento Cinque Stelle di Conte, ha ottenuto in «zona Cesarini» il via libera alla candidatura in regione.
L’ostinazione di Decaro a giocare da solista da un lato svela l’ambizione dell’ex primo cittadino del capoluogo pugliese ed attuale parlamentare europeo a scalare il Pd prima e il «campo largo» poi, dall’altro indica una chiara volontà di discontinuità rispetto alle gestioni amministrative precedenti da parte dei suoi «amici». Veniamo così al punto più politico del nostro ragionamento, quello, cioè, che può generare l’orientamento finale degli elettori in una direzione piuttosto che nell’altra. Se Decaro, a torto o a ragione, vuole discontinuità rispetto ad Emiliano e Vendola è un fatto spiegabile sostanzialmente per due ragioni. La prima: come già detto in precedenza, è perché egli non vuole modelli politici di riferimento, pensando che ormai l’unico paradigma sostenibile sia il suo, peraltro senza «ingombro» alcuno. La seconda: evidentemente non gli è piaciuta gran parte della politica portata avanti finora dal centrosinistra in Puglia con la guida prima di Vendola e poi di Emiliano. Da Bisceglie egli ha detto testualmente «da oggi ho la responsabilità di guidare un nuovo progetto politico per questa regione», aggiungendo «parlerò della Puglia e dei pugliesi, delle loro aspirazioni e dei loro sogni». Interpretando alla lettera le sue parole, è come se stesse dicendo che il volta pagina è necessario, oltre che auspicabile.
Mettiamoci per un istante nei panni di un elettore non fidelizzato del «campo largo», magari uno di quelli che finora ha preferito l’astensionismo o che non rientra nella categoria del «voto solido». Uno di quelli, cioè, che deve decidere se recarsi alle urne oppure no. Perché dovrebbe votare (o rivotare) una coalizione che ha governato finora per due legislature regionali di fila e che sta dicendo per bocca del suo nuovo leader che bisogna cambiare registro? Mi si obietterà che la parola «sogno» è da sempre nel vocabolario della sinistra, ma questa volta il suo utilizzo ha il sapore di una presa di distanza netta rispetto al passato, soprattutto quello più recente. A tal proposito, è sorprendente annotare la mancanza di un’iniziativa elettorale forte da parte della coalizione di centrodestra che, fatte salve alcune coraggiose disponibilità individuali, non ha espresso finora una candidatura unitaria, tanto più veramente competitiva. La melina si fa quando uno ha già segnato un gol e manca poco alla fine della partita, non in coincidenza del fischio d’inizio. Eppure non sono pochi i temi su cui il centrodestra potrebbe giocare d’anticipo: sanità, trasporti, sicurezza (si pensi alle risse ormai quotidiane in alcuni quartieri della città di Bari).
Ci sono altri due aspetti che non possono sfuggire all’analisi politica. Il primo: i retroscenisti della politica ci raccontano addirittura di un «lodo Vendola» per uscire dall’impasse: «Mi candido alle regionali, ma poi vado in Parlamento nel 2027», avrebbe proposto l’ex governatore della Puglia. Non rimanendo a lungo in regione, non sarebbe d’intralcio per Decaro. È legittimo chiedersi come prenderanno gli elettori il fatto che si abbandona un seggio per il quale è stato richiesto il voto poco tempo prima. Dall’Europarlamento (il discorso vale teoricamente anche per Tridico in Calabria, oltre che per Decaro in Puglia) alla regione, oppure dalla Regione a Camera o Senato. Il secondo aspetto è legato alla definitiva presa d’atto che con questo modus operandi l’unica cosa che conta è il potere personale di pochi. Anzi di pochissimi. A differenza del centrodestra, che ha un format politico rodato e una lunga esperienza di governo a livello nazionale e territoriale, il «campo largo» appare più interessato a procedere per stratagemmi con l’intento di indebolire la premier ed entrare da una posizione di maggiore forza nella partita per il Quirinale, che a costruire una vera alternativa a Giorgia Meloni. Leader, peraltro, con un ampio e solido consenso politico e personale. Sono molte le differenze in politica estera e in politica economica tra Pd, AVS, Movimento Cinque Stelle e Italia Viva, con Azione sempre più battitrice libera. Non si trascurino nemmeno le differenze esistenti tra la Schlein e lo stesso Decaro, il quale rappresenta l’ala riformista del Pd e non certo quella della segretaria dem.
Non ci resta che attendere, ma siamo pronti a scommettere che ne vedremo delle belle.