"The voice of Hind Rajab" è la storia di una bambina palestinese di sei anni che è stata uccisa a Gaza per il ritardo con cui l’esercito israeliano ha consentito di soccorrerla, salvo sparare all’ambulanza della Mezzaluna rossa quando aveva raggiunto la piccola. Il film, bellissimo, girato sulla colonna sonora originale della ricerca di aiuto della bambina e del suo dialogo con la madre e con i soccorritori, è candidato al Leone d’oro della mostra di Venezia. Mi sono unito per almeno un quarto d’ora agli applausi entusiasti della sala, uscendo nel momento in cui dal pubblico si è levato il grido di «Intifada!». Intifada è il nome della rivolta palestinese contro Israele, cominciata nel 1987, ripetuta periodicamente con bagni di sangue che purtroppo non hanno portato a nessun risultato.
Il film su Hind nuoce alla causa israeliana più di mille dibattiti perché dimostra disumanità e sprezzo di realismo politico, con gesti compiuti da un singolo reparto o anche da un singolo soldato che macchiano l’intera comunità politica di governo.
Ma tornare all’Intifada sarebbe una follia. Verrebbe repressa nel sangue e non servirebbe a niente perché gli stati arabi hanno dimostrato di non voler sposare con le armi la causa palestinese e chi ci ha provato, come l’Iran e gli Houti dello Yemen stanno leccandosi le ferite.
In questo quadro, la decisione israeliana di voler costruire tre città a beneficio dei coloni e di dividere in due la Cisgiordania (nome ignoto a Israele che parla di Giudea e Samaria) rischia di compromettere per sempre il sogno dei due Stati indipendenti. Come reagire?
La «Flotilla» di una settantina di piccole barche con novecento attivisti si propone di portare aiuti umanitari ai cittadini di Gaza forzando il blocco navale israeliano. È una legittima quanto inutile manifestazione di propaganda destinata al fallimento pratico, perché nessuno immagina che Israele possa autorizzare lo sbarco.
Sbagliano gli israeliani a definire «terroristi» gli equipaggi della «Flotilla», ma è evidente che questi uomini e queste donne saranno arrestati – in caso di violazione del blocco – e le loro barche confiscate. A quel punto il governo italiano dovrà attivare le pratiche diplomatiche e consolari per ottenere il rilascio dei connazionali, eccetera eccetera.
I cittadini di Gaza hanno bisogno d’altro. Negli ospedali italiani ci sono quasi duecento bambini feriti e centinaia di loro familiari palestinesi.
Siamo più avanti di tutti in questo campo. Bisognerebbe fare una campagna bipartisan per ottenere da Israele la vigilanza armata nella distribuzione di viveri da parte di organismi neutrali. E se i coloni occupassero la Cisgiordania, l’Italia e l’Europa non potrebbero restare in silenzio.