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Modernità e purezza, il difficile equilibrio della Notte della Taranta

 
Mimmo Mazza

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Mimmo Mazza

Modernità e purezza, il difficile equilibrio della Notte della Taranta

Nel solito e frizzante dibattito post Concertone tra puristi e avanguardisti come spesso capita la verità sta nel mezzo

Lunedì 29 Agosto 2022, 14:21

Nella scaletta di 30 brani del Concertone della 25esima Notte della Taranta, svoltosi l’altra sera a Melpignano dinanzi - secondo gli organizzatori - a 200mila persone, c’erano cinque canzoni che nulla avevano da spartire con la musica tradizionale la cui riscoperta e valorizzazione costituiscono la ragione sociale dell’evento, ultimo atto di mesi e mesi di ricerca, di studio, di prove da parte dell’orchestra popolare, alla quale è assegnata la direzione artistica, e della omonima fondazione. Si tratta di “Chicco e spillo” di Samuele Bersani, “Tribale” di Elodie, “Alors On Danse” del rapper belga Stromae, “Il signore del bosco” del rapper italiano Massimo Pericolo e “Ma stasera” di Marco Mengoni.

Ma può bastare questa semplice osservazione per criticare gli organizzatori e denunciare lo snaturamento della tradizione? No, d’altronde da quando ci sono i super ospiti, è sempre così. Nel solito e frizzante dibattito post Concertone tra puristi e avanguardisti come spesso capita la verità sta nel mezzo o, meglio, ha aspetti tutti degni di essere coltivati, sempre che si voglia davvero discutere nel merito della proposta musicale dell’edizione 2022 firmata dal maestro concertatore Durdust e non criticare il Festival della Notte della Taranta per il sol gusto di farlo, per partito preso insomma come praticamente dal primo giorno fa il centrodestra che per dinamiche politiche tutte leccesi, al Concertone preferisce non farsi vedere, a parte qualche eccezione e malgrado l’area culturale di riferimento sulle tradizioni abbia altre idee, non necessariamente nei panzerotti fatti in valle d’Itria cantando le hit dei Nomadi.

Il segreto del successo di pubblico, e dunque l’idoneità a generare un movimento turistico dai rilevanti ritorni economici, della Notte della Taranta è dovuta alla capacità – che in alcuni anni si concretizza meglio, altri anni meno - di fondere la tradizione musicale salentina con altri linguaggi musicali, dalla world music al rock, dal jazz alla musica sinfonica. La Notte della Taranta, con il suo festival e con i suoi spettacoli compresi nel tour itinerante estivo, tenta, insomma, di esplorare le verità nuove e impellenti della pizzica nell'inevitabile flusso della musica, alla ricerca costante di un nuovo centro di energia. Una energia primordiale che struttura le cose, e che permette di vibrare in perfetta sintonia con la natura circostante per una ricontestualizzazione della funzione curativa, anzi emancipativa, della pizzica, per esorcizzare i mali di oggi. Fulcro di tutto il ritmo del tamburello, un ritmo che è chiave essenziale per ritrovare il centro di noi stessi. Il centro per afferrare la sostanza della musica che significa essere pronti ad intraprendere una ricerca che non terminerà mai.

Guardando la folla imponente di Melpignano dell’altra sera, allora, c’era da chiedersi se i cinque brani extra-pizzica fossero il giusto prezzo da pagare per far conoscere i restanti 25 a tutti quei giovani che altrimenti della pizzica avrebbero una conoscenza limitata magari ai racconti dei genitori o dei nonni. Un rischio, insomma, da correre, tenendo sempre la barra dritta e vigilando su una questione fondamentale: chi contamina chi?

I canti popolari della taranta di elettronico non hanno niente. Ci sono i tamburelli e la fisarmonica, la coreografia è fatta dai fazzoletti dei pizzicati. Nella taranta super elettronica di Dardust, invece, la fisarmonica ha avuto poco spazio e dieci dei 30 brani proposti sono stati accompagnati dalle coreografie firmate dalla tarantina Irma Di Paola, dieci quadri in movimento, come affreschi teatrali a ritmo di pizzica, in alcuni casi spingendo la vocazione innovativa di questa edizione verso orizzonti inaspettati, «fluidi» come li ha definiti Dardust. Una Taranta così innovativa da aver spinto il concetto di contaminazione non solo ai generi musicali, con coreografie che hanno proposto anche drag queen e le proiezioni visual, a tratti psichedeliche e da evidenti richiami futuristi di Filippo Rossi, incorniciate dalle luminarie tipiche delle tradizionali feste pugliesi, passando per l’omaggio a Pier Paolo Pasolini, nel centenario della nascita, con un brano inedito basato sulle poesie popolari tratte dal suo «Canzoniere italiano». Anche qui, un Pasolini raccontato ai giovani, con una scelta culturalmente alta, perché non sono davvero mai solo canzonette.

La consueta chiusura del Concertone, con la serenata grika Kalinifta iniziata da Madame e poi cantata coralmente con Elodie, Mengoni, Bersani (non c’era Stromae, peccato) e le voci dell’orchestra popolare, ha fatto di nuovo esplodere il pubblico, a ritmo di «Larilò larilò lallerò, larilò larilò llà llà». Una serenata grika, a chiusura di una serata nella quale hanno brillato anche la bellissima Ec Ec, canzone d’amore arbereshe, interpretata magistralmente da Salvatore Galeanda, e il canto griko Klama col quale Marco Mengoni ha dato fondo a tutta la sua potenza musicale. Il griko, l’arbereshe, oltre naturalmente al dialetto salentino, cantati a squarciagola da 200mila pizzicati: fino a quando il risultato sarà questo, fino a quando si faranno vivere sui grandi palcoscenici, reali e televisivi, lingue minoritarie altrimenti destinate alla scomparsa, e con loro di un pezzo importante della nostra storia, il gioco varrà la candela. E il risentimento dei pizzicati un giusto riconoscimento.

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