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La campagna elettorale e il ruolo dei cattolici: distinti e distanti

 
Michele Partipilo

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Michele Partipilo

La campagna elettorale e il ruolo dei cattolici: distinti e distanti

Verso la bagarre elettorale

Zoccolo duro degli indecisi sono i cosiddetti «moderati». La nascita artificiale di un «terzo polo» è il tentativo di coprire l’area centrista

Martedì 23 Agosto 2022, 13:54

Finora la campagna elettorale balneare ha offerto molte diatribe sui nomi, ma poche idee su come affrontare i problemi degli italiani. Manca un mese al voto (25 settembre, seggi aperti dalle 7 alle 23). Un tempo ristretto che non facilita scelte e, anzi, amplifica lo smarrimento degli elettori, per altro ancora distratti dalla coda delle vacanze. «Non so per chi votare» è il ritornello dei pochi che parlano di elezioni, compresi quelli che hanno sempre saputo che fare nella cabina elettorale. I sondaggi confermano la percezione a pelle e fissano almeno al 40% il numero di italiani incerti, eppure in grado di decidere le sorti del Paese.

Zoccolo duro degli indecisi sono i cosiddetti «moderati». La nascita artificiale di un «terzo polo» è il tentativo – da vedere se e quanto riuscito – di coprire l’area centrista. Per ora ha l’effetto di radicalizzare, sotto il profilo mediatico, le posizioni in campo, spingendo le altre formazioni ad arroccarsi più a destra o più a sinistra. Il nucleo centrista più disorientato e meno considerato è costituito dai cattolici, un tempo ago della bilancia nonché fattore di successi elettorali. Se negli anni scorsi fece scalpore la denuncia circa l’«irrilevanza» dei cattolici in politica, oggi il tema è stato cancellato da qualsiasi agenda. I cattolici, come gruppo coeso, legato dalla fede in alcuni valori, in politica non esistono più. Né vi sono sacerdoti o vescovi che stimolino una discesa in campo dei loro fedeli. Lo stesso presidente della Cei, card. Zuppi, pur formato dall’esperienza nella Comunità di Sant'Egidio, è stato attentissimo a evitare la questione nel suo intervento all’annuale meeting di Comunione liberazione.

Il «ruinismo», cioè il fallito tentativo di un «progetto culturale» avviato nell’era post Dc dal card. Ruini per individuare un orizzonte che unisse i cattolici sui cosiddetti «valori non negoziabili», non è stato sostituito da nulla. La Chiesa sembra aver abbandonato il campo della politica, passando nell’arco di qualche decennio, dal collateralismo più spinto alla totale indifferenza. Una linea non facile da capire alla luce dell’insegnamento di papa Francesco, fortemente orientato al sociale, alla lotta alle disuguaglianze, alla tutela del creato. Per sviluppare interventi, peraltro improcrastinabili, su fronti così vasti e complessi occorrono uomini e donne che se ne facciano carico nelle sedi dove si decide, cioè nei vituperati Palazzi del potere. L’ecologia integrale invocata più volte da papa Francesco, di recente ripresa anche dal presidente Mattarella, non può realizzarsi se non c’è un nucleo di persone convinte, capaci e coraggiose che scriva leggi, le faccia approvare e trovi finanziamenti. La Chiesa, intesa nel senso conciliare della comunità di credenti in cammino, resta la più efficace rete sociale nel paese, come si è apprezzato durante il Covid, ma non riesce a incidere sulle scelte dei partiti né per presenza nei programmi né per presenza nelle liste. Dall’irrilevanza dei cattolici per i politici si è passati alla reciproca indifferenza. Al contrario, si assiste a un uso propagandistico della fede religiosa, trasfusa in un ambiguo slogan come il «Credo» escogitato dalla Lega (e in anni lontani fonte di non pochi guai), oppure nel tormentone social «sono Giorgia, sono cristiana…». Siamo di fronte a un uso identitario e quindi potenzialmente discriminatorio della fede religiosa. In tal modo non si affrontano i problemi della società, ma ci si occupa e preoccupa di classificare (ed escludere) le persone rispetto a quei problemi. Così esiste il tema immigrati, non il problema lavoro; esiste il tema docenti, non il problema istruzione; esiste il tema carcerati, non il problema giustizia.

Una volta nelle parrocchie si faceva anche educazione alla politica. Si leggeva e commentava la parabola in cui Gesù dice dei cristiani: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?». Se oggi la politica ha raggiunto baratri di incapacità e disonestà è anche perché nessuno vi immette più «sale». Accade per convenienza, per comodità ma anche perché vescovi e sacerdoti non insegnano più che le sedi dei partiti sono ugualmente terreno di evangelizzazione e promozione umana. Papa Bergoglio ha impresso una svolta pastorale, fondata sulla «neutralità» ovvero sulla distanza dalla politica, alla quale la Cei ha aderito compatta. I vescovi italiani, di fronte alla data del 25 settembre, non pensano alle urne e al futuro dell’Italia, ma al Congresso eucaristico a Matera, al quale parteciperà anche Francesco.

I gravi errori commessi nei decenni passati ne producono di speculari e altrettanto gravi. È molto diffuso il modello di persona scissa, che da un lato ha e vive una certa idea politica e dall’altro professa la fede cattolica, senza preoccuparsi che di mezzo vi sia un’esperienza coerente. È un atteggiamento avvalorato da una falsa concezione della laicità, bene prezioso dello Stato, scambiata con il relativismo imperante, vera cifra della società dell’informazione. Del resto, come ha ricordato a Rimini lo stesso cardinale Zuppi, non abbiamo ancora capito «l’uomo digitale», mentre il pensiero è ridotto a tweet e alle immagini di Instagram. Proprio i fondamenti della politica contemporanea.

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