Le dissennate accelerazioni dell’era Trump, che hanno cambiato il volto dell’America e che ci hanno portato alla fantasmagorica parata di Piazza Tien An Men, uno show di potenza militare e di ampie alleanze a leadership cinese, marcano la polarizzazione in corso e insieme le profonde differenze di approccio al Risiko mondiale. Si discetta dei neoimperialismi americano e cinese, che potrebbero retrocedere il G7 e il G20 al G2 (Usa/Cina), azzerando il multilateralismo e cancellando soprattutto l’Europa dalla scena. Di fatto, però, ci troviamo di fronte ad una superpotenza sempre più isolata nel consesso mondiale, che in pochi mesi ha alimentato insofferenze e insicurezze all’interno dei suoi confini e ad ogni latitudine, dopo aver sistematicamente smontato l’ordine internazionale esistente, senza disegnarne un altro; dal lato opposto, si è definita una nuova realtà, incubata nel limbo trascurato dei BRICS (le grandi economie emergenti e i paesi antagonisti degli Stati Uniti) che si offre con un modello bello e pronto, forte delle sue immense risorse di ogni tipo, dall’Asia all’Africa fino a parte delle Americhe sotto una guida, che incline al soft-power, ha deciso di uscire allo scoperto. Certo, il primato americano in ambito tecnologico al momento non è eguagliabile e il favore accordato dall’amministrazione americana alle Big Tech, subito genuflesse alla corte di Trump, ne moltiplica la potenza planetaria e ne proietta la prospettiva oltre il pianeta nelle orbite dei satelliti a larghissima maggioranza americana, che controllano ogni attività terrestre, in una stagione di costruzione anche del colonialismo spaziale. Ma la sostanza si riduce alla solita domanda: pace o guerra? Proseguirà questo confronto muscolare, che cancella il dialogo ed ogni tolleranza, annichilendo i diritti umani fondamentali oppure si torna a giocare una partita ragionevole con nuove regole?
Il contesto indica anche, a volerla leggere, una strategia possibile, nella quale potrebbe inserirsi l’Europa: alleanze orientate dallo sviluppo economico, naturalmente, ma soprattutto tecnologico, mettendo a fattor comune le risorse umane, culturali e i principi, in alternativa al fragore assordante delle armi che dilaga.
Carl von Clausewitz sosteneva che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, ma il rischio dell’olocausto nucleare oggi smonta quell’assunto: dopo una guerra totale, non continuerebbe la politica. Albert Einstein, dunque la scienza, ammoniva che un’eventuale terza guerra mondiale avrebbe riportato il pianeta all’uso della clava e al lancio delle pietre. Dunque, tutto daccapo. Sconfitti tutti. Né i padroni della terra, sorpresi da un drone a Piazza Tien An Men, in una conversazione sull’immortalità grazie alla scienza, possono ancora puntare sulle nuove colonie immaginate sulla Luna o su Marte.
Si parla già di un prossimo incontro, nel tardo autunno, tra Trump e Xi Jinping, che non potrà essere un tempo di attesa. Non si possono rinviare i tanti dossier aperti, a cominciare dalle inaccettabili guerre in corso, passando per squilibri interni peggiorati nei vari paesi e nella stessa Europa, serve mettere a punto un’agenda ordinata di lavoro per un dialogo possibile, lasciandosi alle spalle l’imbarazzante vertice di Anchorage tra Trump e Putin, totalmente improvvisato.
L’ultima trovata del tycoon di cambiare il nome al Pentagono, ovvero al Dipartimento della Difesa, non va però nella direzione auspicata. Non è solo una questione di semantica. Digitare war.gov, piuttosto che defence.govper la consultazione, è sostanza. Si scelse il nome, ora abolito, all’indomani della seconda guerra mondiale, nella necessità di puntare sulle ragioni della difesa a fronte dell’attacco. Anche in ambito repubblicano, sono emerse chiare e forti le critiche «non si rafforza così la posizione americana nel mondo» – come ha sostenuto Trump – ma si passa «dalla legalità alla letalità» e si generano «effetti politicamente non corretti». Aumenta la sensazione che la politica americana, oltre che dall’imprevedibilità del tycoon, sia gestita da un pool di fondamentalisti ispirati da politiche xenofobe e brutali, mentre, nella comunicazione, si scatena ogni volta un esercito di troll sulla rete, moltiplicano l’estremismo di Internet.
Dopo l’attacco alle università indipendenti, a cominciare da Harvard, mentre l’attuale l’amministrazione americana finanzia le scuole dei bianchi evangelici che sembrano quasi tracciare una sorta di neo-teocrazia cristiana, in aggiunta ai fondamentalismi islamici ed ebraici, per di più in un clima da selvaggio West; dopo l’aggressione alle istituzioni indipendenti, cominciando da gangli dello Stato, e poi alle agenzie di intelligence, per arrivare al sistema economico-finanziario della Federal Reserve in queste ore al centro di una tempesta, si susseguono i segnali contraddittori del dispotismo di Trump, oramai per molti americani: theKing, mentre la sua pace-armata continua a uccidere e a destabilizzare, compromettendo anche gli scenari economici.
Ai tempi di Khruscev e Kennedy, il capo del Cremlino disse al presidente americano: «Voi non avete bisogno di fare propaganda. Lo sa? Tutto il mondo vuole vivere come nei film di Hollywood!». Oggi, chi vorrebbe andare a vivere nell’America di Trump?
A dispetto del pregiudizio antieuropeo del presidente, che ha fatto vacillare in pochi mesi i decennali pilastri dell’Alleanza Atlantica, le alleanze non finiscono, possono raffreddarsi eppure riprendono e possono soprattutto ampliarsi, intanto. L’Europa le ha costruite in tutto il mondo. Gli occhi smarriti della signora von der Leyen nella foto in prima pagina sul giornale del centrodestra francese LeFigaro, mentre il titolo parlava di Europa cancellata, non deve spaventare, ma funzionare da stimolo. Servono energia, idee e coraggio, lo ha ricordato con forza il presidente Mattarella. Nonostante Macron sia alla vigilia di un rimpasto di governo; Starmer in Gran Bretagna lo abbia appena fatto, costretto da uno scandalo; il Cancelliere Merz, ancora diviso tra gli interessi e le opportunità, sempre preoccupato dal consenso in aumento della destra neonazista; mentre il nostro governo litigioso eppure compatto, rimane pavido nella sua politica. In lingua cinese, la parola «crisi» è formata da due caratteri, il primo rappresenta il pericolo, il secondo il momento che sta arrivando. Noi europei la viviamo da troppo tempo, la crisi, ma non riusciamo a interpretarla.