Domenica 07 Settembre 2025 | 16:38

Alle radici dello stupro tra bisogni tirannici e mascolinità «malata»

 
Nunzio Smacchia

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Nunzio Smacchia

Alle radici dello stupro tra bisogni tirannici e mascolinità «malata»

La piaga sociale della violenza di genere

La cronaca nera piena di notizie di violenza sessuale: il dramma che esplode in forma abnorme

Giovedì 07 Luglio 2022, 14:37

Non passa giorno che non si legga nella cronaca nera di qualche episodio di criminalità sessuale o di vero e proprio stupro, un reato in continua espansione. Gli uomini non nascono con la tendenza allo stupro che non è un virus contagioso, ma solo il risultato di una volontà, di una scelta che deriva da contesti e situazioni personali. Stuprare non è un’invasione solo fisica, ma soprattutto psichica, un’angoscia perenne, un trauma devastante che marchia per sempre la vittima. Un impulso «motivato» dall’aggressività con radici profonde piantate nella rabbia diffusa di chi cerca dominio, di chi vuole provare emozioni attraverso imprese sessuali, di chi è nato e cresciuto in culture urbane e familiari che esaltano ideali malati di mascolinità, che sviluppano carenze di intimità e di sviluppi relazionali e scaricano un’affettività repressa in un atto violento e liberatorio, oltre che consolatorio. Gli autori delle violenze sessuali compiute ai danni della malcapitata di turno si discolpano, sostenendo d’essere stati presi da un «raptus», una parola oramai abusata per giustificare, quasi sempre, ogni tipo di crimine brutale, raccapricciante e disgustoso; un termine che sembra un passe-partout criminale utilizzato a scusante di chi commette qualsiasi atto deviante ingiustificato, violento e fuori da ogni controllo.

Lo si sente dire spesso nell’immediatezza di un fatto criminoso commesso per sottolineare che al momento di quel gesto inconsulto fosse «fuori di sé», che fosse preda di un obnubilamento della mente e della propria coscienza. I delitti che racchiudono questa incognita, quelli che vengono definiti «eclissi della ragione» fanno discutere e appassionare i giuristi e i criminologi, in quanto rappresentano aspetti della psiche molto controversi, di non facile lettura e soluzione. Nel caso dei violentatori è evidente che in mancanza di una grave patologia mentale è stata messa in atto solo una distorsione comportamentale che è più facile definire come una «reazione esplosiva», maturata in presenza di circostanze favorenti l’idea criminosa costituite dal posto isolato e dalla presenza di una donna bella e indifesa, nei cui confronti l’aggressore non è riuscito a frenare il suo stimolo erotico. La sfera sessuale in quei momenti drammatici esplode in forma abnorme, in cui forza e sesso formano un cocktail devastante di eccitazione e rabbia, condito di insulti e di violenza intimidatrice; in quel contesto delittuoso il molestatore ha potuto scaricare una collera piena di stati emotivi pregressi, insoluti e soffocati. In questo caso è impossibile, o quasi, che si possa parlare di un’azione improvvisata, ma, semmai, di una condotta preordinata, una sorta di continuum di vita trascorsa all’insegna dell’irruenza e di una conflittualità non ancora metabolizzata, fatta di abbandoni, di delusioni profonde e di ferite al proprio orgoglio. È difficile, quindi, pensare a gesti incontrollabili e improvvisi da parte dell’assalitore, o farli rientrare nel concetto di «raptus», di reazione momentanea ad alto contenuto emozionale e transitorio, che attanaglia una persona sana e si esaurisce in un tempo limitato. L’aspetto impressionante della sua azione è dato dal passaggio del disquilibrio (aggressione sessuale in sé) al ripristino del controllo e della padronanza di se stesso, come se nulla fosse accaduto.

Nei tratti personologici dell’aggressore si possono vedere un bisogno tirannico di gratificazione, un’esigenza di supremazia, un’insofferenza alla frustrazione e un’assenza alla reciprocità passionale. La paura di essere stato abbandonato, maltrattato e offeso dalla consorte o dalla compagna gli ha sottratto un sogno, un disegno miseramente fallito di uomo, ha aperto in lui una ferita narcisistica senza possibilità di guarigione, facendolo diventare il cattivo che dileggia, insulta, respinge e che arriva a dire: «Non so cosa m’abbia preso!», «Ho perso la testa!» e «Non ero più in me!». Cosa è successo, allora, nella sua psiche ritenuta apparentemente normale? La sua, è stata una reazione codificata, ritualizzata, non certamente il frutto di un raptus, attraverso cui si è palesata per ragioni patologiche l’impossibilità di comunicare, convinto d’aver perso la capacità di piacere; si sente indegno, intrappolato in una crisi d’identità e per sentirsi vivo si accanisce contro l’altro sesso in un processo mentale caratterizzato da un disordine saturo di un eros distorto e perverso di tipo progettuale.

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