Fosse solo la nota canzone per bambini, Io ti dico no no no, sarebbe piacevole. Altro discorso quando lo dicono i grandi. Vedi il rigassificatore su nave del quale ha parlato il ministro per la transizione ecologica (pessimo nome), Cingolani. Degno del Napoleone del Manzoni («di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno»), è arrivato il «no» da Taranto e Brindisi, indicate come potenziali città al cui largo potrebbe ancorare la suddetta nave. Per Brindisi il sindaco Rossi, per Taranto il candidato (ed ex) sindaco Melucci (centrosinistra). No comment dal candidato di centrodestra, Musillo.
Abbiamo già dato, è il tono, e in effetti Taranto e Brindisi hanno ragione, fra Ilva e centrale a carbone di Cerano. Prezzo alto in inquinamento ambientale e in vite umane. Ma quella nave c’entra con l’ambiente come uno juventino può c’entrare con un interista. Riceve al largo gas liquido da altre metaniere, lo trasforma e lo immette in rete (nelle due città attraverso l’allaccio diretto alla rete della Snam). Rigassificatore off shore si dice, non di terra, quindi neanche una colata di cemento. Come quella che a Brindisi è rimasta dopo la lunga lotta che ha impedito l’insediamento del rigassificatore di una società inglese a vantaggio di un molto ambizioso water front. Un lungomare che anch’esso poi non si è mai fatto.
Finché è arrivato Putin a cambiare le carte in tavola. Messi alle strette dalla schiavitù del gas russo, ah se li avessimo avuti questi rigassificatori. Sono solo tre e tutti al Nord (Rovigo, fra Livorno e Pisa, La Spezia). A Sud i progetti di Gioia Tauro e Porto Empedocle. E in mezzo un’altra lunga lotta, quella per il Tap di Melendugno. Che avrebbe dovuto devastare il paradiso delle marine ma dal quale ora si ipotizza addirittura il raddoppio del gas in arrivo dall’Azerbaijan. E allora occorre parlare chiaro.
Anzitutto sul monopolio del termine ambientalista. Che l’Italia sia un Paese che difende l’ambiente, lo dice la Costituzione stessa. Ma lo dice come parla della guerra: che l’Italia ripudia «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», ma non di difesa della libertà propria e appunto degli altri popoli. Non si può essere ambientalisti dicendo no sia al petrolio che alle pale eoliche, altrimenti ci riscalderemo col fiato del bue e dell’asinello come nella sacra grotta. E produrremo con la scintilla di Prometeo. Eppure fioccano più no di quanto fiocchi neve al Polo Nord. E fossero solo pale. Basta un marciapiede: no.
Per decenni il raddoppio della tratta ferroviaria Lesina-Termoli (ora finalmente all’aggiudicazione della gara) è stato bloccato in difesa di un innocente fratino che vi nidificava. Ora si blocca per cavilli giuridici anche l’allargamento della statale 16 fra Bari e Mola. Quando non si mette il secondo classificato nell’appalto a fare puntuale ricorso al Tar attribuendo all’Italia il primato europeo dell’eternità delle opere pubbliche. Concorrente a parte una burocrazia specializzata più nel fermare che nell’avviare.
Fate quello che volete, ma lontano dal mio giardino (effetto Nimby, dall’acronimo inglese). Che si è evoluto in effetto Banana (sempre dall’inglese, non costruite assolutamente nulla in alcun luogo vicino a qualunque cosa). E alla sublimazione dell’effetto Tina (non ci sono alternative, a non fare). Finché, a furia di spostare e osteggiare, tutto finisce a babbo morto. Ma così non muore solo il babbo nello sventurato Paese più paralizzato di un motore in folle. Invece di dire: discutiamo cosa serve. E se per l’interesse generale serve anche qualcosa di leggermente indigesto, cerchiamo di averne benefici. Non sono un mercimonio i 25 milioni di euro di compensazioni con cui molti Comuni salentini (magari anche qualcuno che non c’entra) si stanno facendo giustamente finanziare da Tap progetti di sviluppo del territorio. E con quelle per il petrolio (le «royalty»), lo stesso succede per tanti Comuni lucani. Che poi magari spendono per rifare dieci volte l’asfalto e mai per una nuova strada.
La storia ci ha avviato nella grande stagione delle energie rinnovabili. Con Puglia e Basilicata in primo piano. Dal parco eolico già in costruzione al largo di Taranto, a quello già contestatissimo al largo (quanto più al largo possibile) di Otranto. E centinaia di progetti in attesa di approvazione dal Gargano in giù. E il fotovoltaico. Poi è la grande stagione dei gasdotti. Non si bucherellino le due regioni e non le si soffochi di specchi. Ma anche Legambiente dice che non si può dire sempre no. Il Sud miniera di energia per il Paese si faccia ripagare con investimenti seri e che diano più lavoro che polemiche. La guerra di Putin si vince anche così.