Il fronte meridionale, il Mediterraneo, l’Europa e l’Africa con la Russia sullo sfondo. L’invasione dell’Ucraina ci fa guardare anche a Sud, dove le mappe geografiche e le rotte marittime indicano per l’Italia opportunità e rischi. È giusto farlo: non solo perché la globalizzazione è un processo complesso (e in troppi ne celebrano oggi il funerale che per noi, Paese votato all’export, sarebbe un disastro) ma perché nell’area mediterranea si gioca una bella fetta della nuova partita europea, al di là della risaputa contesa tra i Paesi «rigoristi» del Nord e gli «assistenzialisti» del Sud come da facile e ormai logora etichettatura.
Per cominciare, avrebbe meritato più attenzione l’iniziativa del capo del governo, Mario Draghi, che ha riunito i colleghi premier di Spagna (Pedro Sànchez), Portogallo (Antonio Costa) e Grecia (Kyriakos Mitsotakis). Cioè i tre Paesi che assieme all’Italia finirono dieci anni fa sull’orlo del baratro (quando proprio Draghi da presidente della BCE salvò l’euro) e che allora, nell’occasione assieme all’Irlanda, furono indicati con l’acronimo dispregiativo «Piigs», «maiali».
Oggi è tutto un altro film. «L’Europa avrà bisogno di noi», ha detto Draghi. In che senso? Ad esempio, in tema di energia, nella spinta verso le energie rinnovabili e nelle interconnessioni tra Paesi, sul gas naturale ora e sull’idrogeno domani. E qui entrano in gioco la sponda Sud del Mediterraneo e l’Europa meridionale, che possono trarre benefici per se stesse e insieme aiutare l’Europa centrale e settentrionale ad affrancarsi dal gas (e dal carbone) russi.
Il Mediterraneo (al cui centro geografico c’è il porto di Taranto, assieme a quello di Bari e Gioia Tauro i più vicini al Canale di Suez) è non solo ricco di giacimenti sottomarini di gas (in Egitto, Cipro e Israele, in Italia nell’Adriatico e nel Canale di Sicilia) ma è anche un mare ora strategicamente molto «conteso», come dimostra la presenza crescente della flotta militare russa, a sua volta frutto sul campo dell’interesse di Mosca, dalla Siria alla Libia e a diversi altri Paesi africani.
Attualmente, i corridoi che collegano la sponda Sud all’Europa meridionale e da qui al Nord Europa, sono verticali e faticano a dispiegarsi orizzontalmente. Ad esempio, non esiste un collegamento via gasdotto tra Egitto e Libia – che insieme a Algeria, Cipro e Israele sono destinati a diventare i maggiori esportatori di gas dell’area - da dove parte poi il raccordo con l’Italia, paese consumatore e insieme di transito del gas. Le parole d’ordine sono diversificazione del mix energetico e riduzione della dipendenza dal gas russo, ma è chiaro che ci vorranno tempo e strutture adeguate.
Quanto all’uso delle rinnovabili per la produzione elettrica, il fronte meridionale dell’Europa, a partire dall’Italia, può fare molto. Per sé e per lo sviluppo della sponda Sud del Mediterraneo. Nonostante il clima favorevole, la produzione da fonti come l’eolico e il solare è cresciuta solo negli ultimi anni. E le rinnovabili sono state supportate fin qui più dall’energia idroelettrica e dalla biomassa. Ma, praticamente, solo nella fascia di Paesi più settentrionali, perché la sponda Sud, tranne il Marocco, segna numeri da brivido: 0% in Libia, 3% in Algeria.
Infine un rischio grande, che l’Europa - in particolare quella del Sud - deve monitorare. Russia e Ucraina rappresentano il 27% del commercio mondiale di grano e il 53% del commercio di olio e semi di girasole. Spiega l’Unctad (Onu) che corrono pericoli drammatici i Paesi africani (soprattutto i più poveri), con 25 Stati che importano più di un terzo del loro grano da Mosca e Kiev e 15 nazioni per oltre la metà. La carenza di cibo, insomma la fame che può portare a crisi sociali violente, ad una nuova spinta migratoria e a nuove scosse geopolitiche in Africa. Dove la Russia già detiene il primato della vendita di armi e dove si va infittendo da tempo la sua presenza e la sua influenza (dal Burkina Faso alla Repubblica Centro Africana e al Sudan). Scenari cupi.