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L'inflazione è tornata (e non se ne andrà) serve un'intesa nazionale

 
Guido Gentili

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Guido Gentili

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Giovedì 03 Marzo 2022, 14:48

Inizia oggi la collaborazione con la «Gazzetta» di Guido Gentili. Giornalista e saggista, ha diretto Il Sole 24 ore, Radio 24 e l’agenzia di stampa Radiocor

S’impennano i prezzi del gas e del petrolio. Ma anche quelli del grano, del mais, del titanio, alluminio, nickel e via andando per tutte le materie prime di cui il nostro Paese («trasformatore», s’impara subito a scuola) è notoriamente povero. E ora che succederà, e come ci stiamo preparando per affrontare l’onda montante dell’inflazione fino a pochi mesi fa archiviata nel cassetto di ricordi sempre più sbiaditi?


Non c’è voglia né tempo, messi come siamo nel mezzo della guerra in Europa che la Russia ha scatenato contro l’Ucraina, di celebrare un formidabile successo dell’economia italiana. Che ha chiuso il 2021, come appena certificato dall’Istat, con una crescita del Pil (il Prodotto interno lordo che misura la ricchezza prodotta) del 6,6%. Risultato straordinario, dopo il crollo dell’8,9% del 2020 a motivo della pandemia e dopo un quarto di secolo di mancata crescita con tanti «zero-virgola» nelle ultimissime posizioni della classifica europea.


Invece, eccoci qui a riscoprire i danni possibili di un’inflazione - la più iniqua delle tasse perché colpisce le classi più deboli, disse il grande Presidente della Repubblica e Governatore della Banca d’Italia, Luigi Einaudi- tornata alla ribalta. E suscettibile, tanto più se si accompagnerà ad una fase di stagnazione (la temuta «stagflazione» che l’Italia ha conosciuto negli anni Settanta), di arrecare danni ancor più rovinosi a famiglie e imprese, in prima battuta quelle del Mezzogiorno.
Intendiamoci. Il vento del rialzo dei prezzi delle materie prime aveva ripreso a soffiare già nella stagione del Covid-19 con il crollo del commercio mondiale, le strozzature dell’offerta dei prodotti, l’aumento vertiginoso del costo dei trasporti e dei noli marittimi in particolare. Ma le banche centrali di tutto il mondo, a partire dalla Federal Riserve americana e la Banca Centrale Europea (BCE), giudicavano la ricomparsa dell’inflazione un fenomeno «transitorio» e destinato a rientrare sotto controllo. Finché, via via, hanno dovuto ricredersi e prendere atto di una realtà diversa da quella prevista, cominciando a prospettare la necessità di cambiare passo con una politica monetaria meno accomodante di sostegno ai governi e decretando la fine prossima dell’era dei tassi d’interessi a zero.


L’acuirsi progressivo della crisi sull’Ucraina prima, e l’invasione decisa da Vladimir Putin poi, hanno alla fine incendiato definitivamente anche questo campo. L’impennata delle materie prime si è propagata dappertutto, dai beni energetici a quelli alimentari. Risultato: a febbraio, come calcolato dall’Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo è salito al 5,7% su base annua (dal +4,8% indicato a gennaio, bisogna tornare indietro al 1995 per registrare una quota analoga) e l’inflazione acquisita per il 2022 è pari a +4,3%.


Tornerà, almeno nel corso dei prossimi mesi, un po’ indietro? Molto difficile se non impossibile. L’altro ieri l’Osservatorio Conti Pubblici diretto da Carlo Cottarelli ha spiegato (facendo riferimento a uno scenario in cui i prezzi delle materie prime restano al livello raggiunto il 24 febbraio, giorno dell’attacco russo) che l’Italia potrebbe pagare quest’anno una tassa – per restare a Einaudi- di 66,4 miliardi in più di rincari da assorbire dal lato delle importazioni rispetto al 2019. Cifra pari al 3,5% del Pil previsto per quest’anno.


Affrontare l’onda, ed evitare la spirale della rincorsa tra prezzi e salari, non sarà facile. Prima della mossa russa, imprese e sindacati avevano iniziato sì a discuterne ma da posizioni diverse se non opposte (come nel caso del leader della Cgil Maurizio Landini, che puntava a superare il «Patto della Fabbrica del 2018», e del presidente di Confindustria Carlo Bonomi). Ma un accordo andrà trovato, ed è credibile che sia ora il governo di Mario Draghi a spingere in questa direzione. Uno sterile scontro sulla modalità di recupero dell’inflazione non avrebbe senso, mentre torna alla memoria l’intesa sulla politica dei redditi voluta da Carlo Azeglio Ciampi nel 1993.
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