Mercoledì 10 Dicembre 2025 | 14:20

Basta rimandare: il sistema sanitario impari a scegliere

Basta rimandare: il sistema sanitario impari a scegliere

 
Francesco Caroli

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Francesco Caroli

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C’è una verità che il nuovo prestigioso Rapporto OASI 2025 invita ad ammettere: il Servizio Sanitario Nazionale non è in crisi solo perché mancano risorse, ma anche perché fatica a scegliere

Mercoledì 10 Dicembre 2025, 13:26

C’è una verità che il nuovo prestigioso Rapporto OASI 2025 invita ad ammettere: il Servizio Sanitario Nazionale non è in crisi solo perché mancano risorse, ma anche perché fatica a scegliere. Fatica a definire priorità, modelli organizzativi, investimenti coerenti. È un sistema sospeso tra una crisi strutturale e l’esigenza di una narrazione rassicurante che promette «più prestazioni, più personale, meno liste d’attesa» senza affrontare ciò che davvero non funziona.

L’analisi del Cergas Sda Bocconi (Centro di Ricerca sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale) è netta. In Italia esistono oltre 9mila ambulatori SSN, spesso troppo piccoli per garantire massa critica, continuità e tecnologie adeguate. Più del 60% dei contatti con la medicina generale avviene ormai da remoto: un cambiamento reale, che però non è diventato un modello di servizio né una strategia digitale capace di integrare fascicolo sanitario elettronico, prescrizioni e prenotazioni.

Il Rapporto segnala quattro «luci rosse». Solo il 60% delle prescrizioni si traduce in prestazioni del SSN; il resto scivola nel privato o rimane inevaso. Crescono le persone non autosufficienti, ma solo l’8% accede a una Rsa. Le disuguaglianze territoriali aumentano, nonostante una spesa pro capite simile. E permane una forte variabilità nell’uso dei servizi - ricoveri, specialistica, screening - non spiegata dai bisogni di salute. Per una risonanza osteo-articolare negli over-65 si passa da 0,9 esami ogni 100 abitanti in alcune aziende territoriali a 5,4 in altre: oltre cinque volte di differenza a parità di popolazione, segno di squilibri organizzativi profondi.

A questi si aggiungono squilibri strutturali altrettanto rilevanti. Nel 2026 arriveranno circa 24.000 matricole in Medicina, mentre i posti per infermieri sono saturi all’84%: un possibile «esubero medico» accanto a una carenza infermieristica che penalizza soprattutto il territorio. Anche il rapporto con il privato accreditato è fragile: molte strutture che lavorano solo per il SSN hanno margini vicini allo zero e vengono spinte fuori dal perimetro pubblico, riducendo la capacità produttiva disponibile proprio mentre il Paese chiede tempi più rapidi e accessi più equi.

In questo quadro va riconosciuto che manager sanitari e amministratori locali stanno tenendo insieme il sistema, spesso con risorse limitate. Ma le scelte decisive - investimenti, politiche professionali, governance dell’offerta - restano responsabilità centrali: nessun territorio può correggere squilibri di questa scala. Per questo non basta «mettere più soldi». Per riportare dentro il SSN ciò che oggi è erogato fuori - oltre 40 miliardi - servono riforme strutturali e riorganizzazioni profonde, non interventi episodici.

Da qui la proposta più interessante del Rapporto, firmata dai Prof. Longo e Ricci: una «doppia agenda» del management. Un’agenda esterna, che gestisca pressioni politiche su liste d’attesa, Pnrr e prestazioni. E una interna, strategica: uso rigoroso del digitale, riduzione della variabilità ingiustificata, centralizzazione di alcune funzioni, revisione dei modelli organizzativi, rafforzamento del procurement - oggi pari al 32% della spesa - come leva di sostenibilità.

Il Rapporto invita a superare l’idea che l’emergenza sia un’eccezione. Nel SSN è diventata normalità. E un sistema che vive nella normalità dell’emergenza, senza scegliere le proprie priorità, rischia di perdere la sua vocazione universalistica. La domanda finale è semplice: vogliamo continuare a rimandare decisioni che sappiamo necessarie?

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