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Il Sud oltre Pasolini: il centenario non alimenti un’immagine sbagliata

 
Oscar Iarussi

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Oscar Iarussi

Il Sud oltre Pasolini: il centenario non alimenti un’immagine sbagliata

Passato e futuro del Mezzogiorno stettero molto a cuore a Pier Paolo Pasolini, del quale il prossimo 5 marzo ricorrono i cent’anni dalla nascita

Domenica 27 Febbraio 2022, 15:06

Grazie. È straordinaria l’accoglienza che voi Lettori avete riservato al ritorno della «Gazzetta» in edicola e sul web, a partire dall’emozione condivisa per il titolo dell’editoriale di sabato 19 febbraio: «Sempre nuova è l’alba». La citazione del poeta lucano Rocco Scotellaro in copertina è diventata immediatamente un festoso saluto in cui riconoscersi, nonché un hashtag sui social. Da Instagram a Facebook si sono moltiplicate le fotografie sorridenti con in mano il primo numero della «Gazzetta» e quel titolo ripetuto quasi come un mantra. Un segnale di comunità intorno a un giornale storico del Sud, aderendo di fatto all’auspicio e al principio di lavoro formulati nell’articolo d’esordio. Qualcuno ha anche evocato la strofa finale di La prospettiva Nevskij scritta e cantata da Franco Battiato: «E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare / l’alba dentro l'imbrunire». Nel tramonto di un mondo - la carta stampata che ha scandito la vita quotidiana nel ‘900 e fino a pochi anni fa - una scommessa editoriale sul domani.

Passato e futuro del Mezzogiorno stettero molto a cuore a Pier Paolo Pasolini, del quale il prossimo 5 marzo ricorrono i cent’anni dalla nascita. Egli fu poeta, polemista «corsaro», regista, scrittore, marxista eppure sensibile al senso del sacro che è fortissimo in Il Vangelo secondo Matteo (1964), girato fra Matera, Massafra e Gioia del Colle. In Puglia e in Basilicata come in tutta Italia e altrove sono in programma celebrazioni e omaggi lungo l’anno pasoliniano che si apre ora e che consentirà di rivisitare la sua indomita complessità. Pasolini fu il cantore della fine della civiltà contadina sotto i colpi della Tv nascente e del traumatico inurbamento di massa cominciato sin dal dopoguerra, con l’esodo di quattro milioni di meridionali nei vent’anni dal 1950 al ’70.

Isolato, non incompreso, Pier Paolo Pasolini si faceva capire benissimo e perciò divideva, suscitava scandalo. Dopo la morte violenta a 53 anni per mano del «ragazzo di vita» Pino Pelosi nella notte fra l’1 e il 2 novembre 1975, Pasolini ha subito dapprima una rimozione feroce e in seguito una paradossale edulcorazione fino a divenire un’icona pop, una sorta di «santino» buono per ogni evento. Oggi risulta gradito persino alla destra identitaria che lo detestò e che tardivamente ne coglie la dimensione comunitaria e antiliberale. Tuttavia Pasolini rimane un corpo estraneo, sidereo, una luce aliena nella cultura italiana, irriducibile al suo tempo e al nostro di cui presagì l’omologazione e la melliflua dittatura dei mass media.

Intanto il rimpianto antiborghese del poeta per l’Italia contadina si è tramutato in una vulgata pasoliniana, da tempo all’opera nella cultura politica orfana delle «grandi narrazioni» dopo il crollo del Muro di Berlino nell’89. Parliamo di una visione che coltiva la perenne separatezza dalla modernità con i suoi dilemmi e che rispetto al Sud comporta la contemplazione o l’elogio della bellezza dei borghi in rovina sull’Appennino o delle presunte consuetudini «tribali» (nel solco della definizione pasoliniana dei napoletani come ultima «tribù»). Questo pasolinismo «nostalgicamente corretto» e consolatorio paga in termini di auditel e di classifiche, mentre scorpora il carattere tragico della scelta di un uomo che visse e morì della scissione che lo tormentava lungo la frontiera dei tempi. Si definì «una forza del passato» e contemporaneamente «più moderno di ogni moderno».

Non vorremmo, insomma, che l’anno pasoliniano alimentasse l’idea del Mezzogiorno quale buen retiro per snob in fuga dallo stress della vita post-moderna o «riserva indiana» perfetta per il folclore e per un esotismo tarantato. Un’area pittoresca, immodificabile e inguaribilmente perduta, come la piantagione di Tara nel film Via col vento dove domani sarà pure un altro giorno, ma eguale a ieri. Lo sappiamo, così non è.

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