di MICHELE PARTIPILO
In questi giorni si sta decidendo un pezzo importante del futuro dell’Italia. Detta così suona come un’affermazione un po’ retorica. Il guaio è che quando si parla di Italia si pensa a qualcosa di astratto o, al massimo, alle suggestioni artistiche evocate dal Belpaese. Italia significa prima di tutto «italiani». Cioè l’insieme del variegato universo di persone che compongono l’entità civile e occupano il suo territorio.
Una concezione un po’ rétro e per questo affascinante vorrebbe che la politica si interessasse innanzitutto delle persone, del cosiddetto «bene comune». Allora, quanto gli italiani sono al centro delle attenzioni di chi sta decidendo per loro?
Giovedì il Pd ha presentato la sua proposta di legge elettorale, su cui convergono Fi, Lega e Ap. Dopo scontri, polemiche e abbandoni, si propone un sistema misto fra maggioritario e proporzionale. Senza addentrarsi in tecnicismi, si può dire che il sistema proporzionale da noi ha prodotto governi instabili con maggioranze traballanti. Il sistema maggioritario ha dato maggiore tranquillità. Tanto che si voterà alla scadenza naturale della legislatura, che pure ha visto l’avvicendarsi di tre presidenti del Consiglio.
In tema di sistema proporzionale, va ricordato anche che due referendum (nel 1999 e nel 2000), per chiedere l’abolizione del voto di lista per l’attribuzione del 25% dei seggi con metodo proporzionale, non raggiunsero il quorum.
Il sistema maggioritario lascia meno spazio alla volontà degli elettori, i quali devono sostanzialmente ratificare i nomi decisi dai partiti. Il voto, in definitiva, sancisce solo quanti parlamentari assegnare a un partito o all’altro. Ma non permette di scegliere chi. Al contrario, il sistema proporzionale consente all’elettore di determinare sia il numero di parlamentari di un certo partito che i loro nomi. E il suo fascino risiede proprio in questo, poiché in teoria consente all’elettore di esprimersi più compiutamente. La lunga esperienza con il proporzionale ha però dimostrato che la «libera» scelta dell’elettore diventa oggetto di mercimonio. I voti si comprano (nel senso più mercantile del termine) e si barattano, si promettono posti di lavoro e si creano inciuci d’ogni sorta.
Alle distorsioni prodotte dai sistemi elettorali si affianca la questione della scarsa qualità dei nostri politici. Se nei decenni scorsi le Aule parlamentari erano frequentate da intellettuali, studiosi e professionisti di grande spessore, oggi sembra che proprio queste persone facciano di tutto per tenersi alla larga. Né i partiti si preoccupano di selezionare e formare chi può aspirare a diventare classe dirigente del Paese. Non valgono più cultura, esperienza, formazione, bensì aspetto fisico, spregiudicatezza e arrivismo.
In passato era prevista una sorta di «gavetta» per i futuri amministratori. Solo dopo aver percorso la gerarchia interna del partito, potevano aspirare a candidarsi con gradualità alle diverse cariche. Oppure c’erano persone di specchiata fama che venivano invitate a entrare in lista per dare spessore e prestigio. Oggi è necessario saper sfruttare al meglio la comunicazione, ma guai a esprimere un’idea. L’imperativo ideologico è fare innanzitutto i propri interessi e, in seconda battuta, quelli del parentado. Gli italiani altri possono aspettare.
Del resto è sotto gli occhi di tutti la vicenda della compagine più «innovativa» degli ultimi anni. Il Movimento 5Stelle pur potendo contare su un apporto enorme della società, attraverso il tanto osannato web, ha prodotto un aspirante premier con una procedura da democrazia delle banane. Luigi Di Maio, già consacrato a suo tempo da Grillo e Casaleggio padre, viene «scelto» attraverso consultazioni in cui è di fatto l’unico candidato. In Italia il concetto di primarie, proprio delle democrazie anglosassoni, è stato deformato e piegato alle più varie esigenze. Ma mai s’era arrivati a votazioni con un solo candidato e per di più con un risultato secretato fino all’investitura ufficiale. Con queste premesse passa in secondo piano anche la domanda su chi è e che cosa sa fare il futuro premier Di Maio. Al di là del bel portamento, degli abiti di alta sartoria napoletana indossati anche in spiaggia, in che altro modo può fare gli interessi degli italiani? Nessuno se lo chiede, perché una metà degli elettori è disgustata e non andrà a votare, a prescindere dal sistema elettorale. L’altra metà è a caccia d’una qualche prebenda e voterà solo per convenienza.
Sorbiamoci allora qualche mese di pseudo dibattito su come migliorare la legge elettorale. Di migliorare i politici, non se ne parla.
Michele Partipilo