Sabato 06 Settembre 2025 | 22:43

Babele scuola, un danno senza possibilità di ristoro

 
Sergio Lorusso

Reporter:

Sergio Lorusso

Babele scuola, un danno senza possibilità di ristoro

La scuola non è la Dea Fortuna, è il luogo in cui si forgiano gli uomini di domani e la priorità dunque non dovrebbe essere data a tavoli governativi di contrattazione su base matematica

Mercoledì 06 Gennaio 2021, 15:07

Se non fosse che in gioco ci sono la formazione e l’istruzione delle future generazioni, la vicenda potrebbe essere definita grottesca. Viceversa, appare per molti versi preoccupante. Continua, infatti, lo stop and go fra didattica in presenza e didattica a distanza, con l’ulteriore variante della didattica mista. Ancora una volta, ci si trova di fronte a una scelta certo assai complicata, ma resa ancora più complicata dalle incertezze del governo. Il risultato? un «palinsesto» ancora in progress, differenziato a livello locale per date e percentuali. Tutto questo mentre un rapporto commissionato ad Ipsos da Save the Children ci dice che il 28 % degli adolescenti riferisce che dall’inizio della pandemia almeno uno dei suoi compagni di classe ha smesso di frequentare la scuola

Del resto, è difficile orientarsi nel mare magnum delle competenze in materia. Governo, Regioni, Prefetti. Circolari, ordinanze, decreti. Una vera e propria torre di Babele. Della quale, inutile dirlo, a farne le spese sono principalmente i ragazzi. «Una partenza disorientante», l’ha definita ieri una studentessa liceale, sintetizzando perfettamente lo stato d’animo predominante. A poche ore dal D-Day enfaticamente annunciato dalla ministra Lucia Azzolina, che rischia un’altra sonora sconfitta, ancora poco si sa (occorre magari essere fortunati e vivere nella Regione «giusta»).

In una delle tante notti «contiane» si è rivisto il solito film. Da un lato le onnipresenti Regioni, in posizione conflittuale con l’esecutivo; dall’altro l’ostinazione della ministra geniale, portatrice di una visione assai personale dell’emergenza scuola fatta di banchi supersonici e di date improcrastinabili fissate per la ripresa (anzi, per le varie riprese).

Dapprima il 14 settembre, per l’inizio dell’anno scolastico, ora il 7 gennaio, dopo la pausa natalizia. Con il piccolo particolare che sono le Regioni a dettare il calendario scolastico. La ministra, invece, ha nuovamente puntato i piedi, ritenendo evidentemente che il successo della sua azione di governo dipenda dalla riapertura il prima possibile delle scuole.
Non è così.

L’Istituto Superiore di Sanità – non uno dei tanti aspiranti virologi che bazzicano Facebook – ha affermato a chiare lettere che non si tratta tanto di capire quando si possano riaprire, quanto piuttosto di evitare che si debbano richiudere. Non è ancora scientificamente chiaro, infatti, quale sia l’impatto della chiusura e della riapertura ai fini del contrasto al Covid-19, anche se in gran parte del globo si è optato per la chiusura (da ultimo lunedì scorso in Gran Bretagna con il secondo lockdown).

Il problema principale, lo si è ripetuto all’infinito, è costituito da ciò che avviene prima e dopo l’orario scolastico. Da qui la centralità dei trasporti e la necessità di contrastare la naturale tendenza dei ragazzi a intrattenersi dopo le lezioni per vivere quel periodo magico di scoperte, di conquiste e di emozioni che tutti ricordano con nostalgia.

Non bastano insomma i monobanchi, sponsorizzati dalla ministra Azzolina nel suo tour estivo. E non può diventare una questione di principio il fatto che si riprenda il 7 piuttosto che l’11 o il 15 gennaio. Non capiamo. Il vero dramma è quello di bambini e ragazzi sballottati da quasi un anno tra strumenti didattici per nulla omogenei, erogati in luoghi fisici differenziati, con effetti probabilmente più negativi che se si mantenesse un’unica modalità (pur con tutti i limiti noti della didattica a distanza).

La scuola, insomma, non è solo un lotto di banchi supersonici, sicuramente belli e funzionali, calati peraltro in aule spesso fatiscenti (l’edilizia scolastica è la grande assente di questi ultimi decenni). Tutti sanno che prima si ristruttura una casa e poi si cambiano gli arredi, e non viceversa. La ministra geniale, invece, continua a puntare tutto sui numeri, convinta di conoscere quelli giusti. Così facendo, però, rischia di chiamare banco e perdere tutto.

E gli italiani rischiano di vedere sempre più sconquassata l’istruzione, con un senso di disorientamento ormai diffuso. Non è una questione di numeri. Per questi bastano i tavoli di Baccarat e i tanti Bingo e affini in circolazione.

La scuola non è la Dea Fortuna, è il luogo in cui si forgiano gli uomini di domani e la priorità dunque non dovrebbe essere data a tavoli governativi di contrattazione su base matematica (7, 11, 15?) ma ad un’analisi seria – perché non con l’apporto di pedagogisti? – che porti per quanto possibile a soluzioni in grado di preservare gli interessi degli studenti. Studenti nei quali prevalgono – sempre secondo il rapporto Ipsos – sensazioni di stanchezza (32%), incertezza (17%) e preoccupazione (17%) di fronte alla scuola piegata dal Covid-19. Non c’è «ristoro» che tenga, non ci sono bonus da dispensare. Ma sapere, cultura, competenze, socialità. Banchi o non banchi, magari pensando a un’istruzione migliore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)