L’Europa non ha raccomandato altro. I soldi del Recovery destinati all’Italia devono servire innanzitutto ad alleviare le sofferenze del Sud. Manco per idea. Sia perché i governanti del Nord sono più lesti di un branco di tigri ad azzannare la preda, sia perché i governanti del Sud sono più lenti di un gruppo di elefanti ad afferrare le opportunità, limitandosi per lo più a fornire spunti per le esilaranti imitazioni da parte dello straordinario Maurizio Crozza.
Eppure ci sarebbero tutte le motivazioni per porre in agenda due priorità visibili come un grattacielo. Una: se non viene finalizzato il Next Generation Eu (una specie di Piano Marshall al cubo) al rilancio del Mezzogiorno, quale altro analogo strumento potrà servire alla bisogna? Due: se il Recovery made in Italy non viene indirizzato soprattutto a risollevare le sorti della sanità, stremata dal Covid, a cos’altro, di più essenziale e più urgente, dovrà essere demandato?
Peraltro, concentrare i 209 miliardi sulla sanità, significa, implicitamente, fare sano meridionalismo, perché è il Sud a patire, anche su questo versante, i malanni maggiori; è il Sud a dover meritare un livellamento delle prestazioni sanitarie; è il Sud a sostenere che se il divario tra le due Italie è inaccettabile in tutti i settori infrastrutturali, in quello della salute il divario è assai più grave e inammissibile.
Invece, il grosso dei 209 miliardi andrà chissà dove, e solo 9 miliardi saranno stanziati per gli ospedali. Solo 9 miliardi? Verrebbe da chiedersi quale sarebbe stata, allora, la cifra per la sanità se il Covid 19 non avesse fatto il suo ingresso in Italia seminando morte che manco gli Unni di Attila (406-453). Probabilmente zero. Anzi, probabilmente sarebbero scattati altri tagli lineari, così, per vedere l’effetto che fa.
La scandalosa distribuzione (rovesciata) dei soldi europei contro la crisi da pandemia avrebbe dovuto scatenare la reazione furibonda della classe dirigente del Sud e dei relativi presidenti, visto che la Bassa Italia sta messa assai peggio dell’Alta Italia.
Invece, nulla è pervenuto, salvo il solito bla-bla, il rinomato fraseggio in politichese sui massimi sistemi e sulle manovre politiche (tattiche) in atto.
Eppure i numeri sono numeri, non necessitano di esegesi particolari.
Eppure, a parità di popolazione, l’Emilia Romagna riceve per la sanità 400 milioni di euro in più rispetto alla Puglia. La disparità, in origine, venne giustificata con la storia che la terra della mortadella e della Ferrari è strapopolata di anziani, notoriamente più bisognosi di cure. Ma anche i poveri, notoriamente, vivono meno a lungo dei ricchi e i poveri risiedono prevalentemente al Sud, e altrettanto notoriamente hanno bisogno di cure adeguate. Però anche in quella circostanza, quando bisognava stabilire i criteri di assegnazione dei quattrini, e quindi tenere gli occhi più che svegli, la classe parlamentare meridionale si distrasse incredibilmente come è capitato allo juventino Morata nella partita di mercoledì scorso.
I rappresentanti delle regioni settentrionali dimostrano da sempre di saper fare squadra a prescindere dai colori politici di partenza. Destra e sinistra del Nord, sui temi cruciali e in tutte le sedi (dal Parlamento alla Conferenza Stato-Regioni) amano e sanno giocare di sponda, passandosi la palla con estrema facilità. I rappresentanti del Sud, al contrario, si muovono alla spicciolata, in ordine sparso, quando va bene. Quando va male, sfuggono persino ai radar degli organi di informazione più penentranti.
Resta il fatto che i nove miliardi (su 209) alla sanità sono uno schiaffo al buon senso, prima che alla salute degli italiani. Questo è il Paese in cui da mane e sera si ripete che mancano i medici, che gli ospedali vanno costruiti e ricostruiti, che bisogna fare in modo che i migliori cervelli esteri in corsia vengano ingaggiati nel Belpaese, così come accade per le stelle del pallone e via su questo tono.
In realtà si fa l’opposto di quanto si proclama. I giovani medici, proprio nell’anno del Covid, sono ancora in attesa di entrare nelle scuole di specializzazione. Di rinvio in rinvio sta per arrivare il 2021 e ancora non si ha notizia della graduatoria di un concorso tenutosi a settembre (2020) e che si sarebbe dovuto svolgere in luglio. Errori nelle domande. Ricorsi. Controricorsi. Promesse. Rinvii.
In un Paese normale, a caccia di medici, non dovrebbe nemmeno essere concepito il freno ai laureati che aspirano alla specializzazione. C’è o non c’è carenza di camici bianchi? Se c’è, che senso ha alzare barriere, utilizzare tutti gli strumenti per fermare il percorso professionale dei neodottori? E poi ci si lamenta del fatto che i più intraprendenti o i più insofferenti scelgono di trasferirsi all’estero, trasferendo oltre frontiere un bagaglio di conoscenza per il quale lo stato italiano ha varato una barca di denari. In un Paese normale la selezione non si fa dopo la laurea, ma agli inizi del corso universitario. Il numero chiuso in entrata e in uscita è un controsenso, spesso una palese ingiustizia. Meglio, molto meglio il cosiddetto metodo Amprino, dal nome del celebre docente di anatomia che, nell’università di Bari, rappresentava uno scoglio micidiale per tutti gli iscritti al secondo anno di medicina. Infatti. Chi superava il test con Rodolfo Amprino (1912-2007), poteva già ritenersi un dottorino, data la difficoltà (mai più eguagliata negli anni successivi) rappresentata dalla prova con lo scienziato torinese sbarcato a Bari.
E comunque. Quasi certamente, dietro il tira-e-molla sui nuovi specializzandi in lista d’attesa c’è la cronica scarsità di soldi a disposizione. Idem per il contingentamento tendenziale delle borse a disposizione. Quasi certamente se si fossero utilizzate le risorse del Mes (quello sanitario), la questione sarebbe stata risolta in partenza. Ma il Mes per mezzo Parlamento è peggio di una parolaccia. Avrebbe potuto provvedere il Recovery a rimediare a tanta sbadataggine. Invece, solo la miseria di nove miliardi per la salute. Cioè per l’essere umano. Tutto è più importante dell’essere umano in questa fase di grave sovversione del diritto naturale. Perché anche di questo si tratta.