Nella politica che ha smarrito identità e stelle polari l’invito a «ripartire da» è diventato quasi un mantra. La sinistra, negli ultimi quindici anni, sarà ripartita da qualcosa almeno cinquanta volte: dai girotondi, dal popolo viola, da Renzi, dal Papa, dalle sardine, dall’ambientalismo. Oggi tocca al Movimento 5 Stelle, afflitto da una crisi che non è contingente ma strutturale. Una brutta bestia pronta a interrogarlo come un papà disperato col figliolo che, dopo un brillante liceo, non sa ancora - a ottobre suonato - quale università scegliere: che vuoi fare da grande?
Vallo a sapere. Da un lato ci sono il pasdaran Di Battista e la pasionaria Lezzi che spingono per un orgoglioso isolamento. Dall’altro, dentro e fuori il Movimento, ci sono quelli che lo vorrebbero sposato con il Pd, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, finché morte non li separi.
E poi, in mezzo, c’è il «modello Matera», quello offerto dalla brillante vittoria del neosindaco Domenico Bennardi che ha riacceso gli entusiasmi in casa pentastellata. Lo schema è una sorta di terza via: il Movimento deve aprirsi al dialogo e alle strette di mano ma senza accordi a scatola chiusa o preconfezionati. Nella fattispecie, la coalizione di Bennardi aveva dentro il Psi, Vedi e Volt, ha preso al ballottaggio una bella iniezione di voti da sinistra, ma non farà entrare il Pd in Giunta. Fra cinque anni, si vedrà.
Tutto molto elastico e molto libero. La forza di questo schema, infatti, è tutta nella sua flessibilità. Senza barriere o «griglie» già disegnate, e quindi senza marchiarsi a fuoco, ci si può muovere con profitto tra le pieghe della battaglia elettorale. D’altra parte, però, due considerazioni sono necessarie. La prima è che - vivente il governo giallorosso - le intese sono ormai possibili solo al centro o a sinistra perché, dopo l’esperienza del governo gialloverde, l’antileghismo del M5S sembra ormai pari a quello del Partito democratico.
La seconda postilla tocca invece l’autonomia dei territori. Non sempre sarà possibile fare come ha fatto Bennardi, cioè incassare i voti dem senza doversi fidanzare con i suoi dirigenti e leader locali. Piuttosto, è facile che accada il contrario. E allora a chi tocca decidere se il centrosinistra in tal Comune o in tal Regione sia meritevole o meno di un apparentamento? Se lo decidono i territori i «casi Puglia» non mancheranno. E la giostra ricomincerà. Se lo decide il vertice romano i gruppi locali, magari in disaccordo, si rivolteranno inferociti per la scippata autonomia.
Alla fine della giostra, la scelta per il Movimento è doppia: dovrà innanzitutto stabilire se diventare una forza di area progressista o rimanere una anomalia «singolare» e tutta italiana. E, in caso vinca la prima opzione, dovrà poi capire come strutturare il rapporto con l’area progressista. Proprio qui potrebbe inserirsi la ricetta di Bennardi, magari riveduta e ampliata. Il M5S riparte da Matera? Gli Stati generali sono dietro l’angolo. E la decisione potrebbe arrivare proprio all’ombra dei Sassi.