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Gli ostacoli al (doppio) binario della crescita

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

Gli ostacoli al (doppio) binario della crescita

Non tutte le grandi opere generano sviluppo, basti pensare che gli stati totalitari vanno matti per le mega-infrastrutture, ma quasi sempre i loro governi raccolgono poco in termini di Pil e occupazione

Giovedì 09 Luglio 2020, 14:21

Premessa. Non tutte le grandi opere sono opportune. Non tutte le grandi opere generano sviluppo, basti pensare che gli stati totalitari vanno matti per le mega-infrastrutture, ma quasi sempre i loro governi raccolgono poco in termini di Pil e occupazione. Ma uno Stato che dovesse rinunciare a priori alle grandi opere, è uno stato destinato a ritirarsi dalla gara del progresso già prima del fischio d’inizio. Ciò detto, in Italia spesso si fa fatica pure a partorire le piccole opere.
Il raddoppio del binario unico Termoli-Lesina (34 chilometri) è una piccola opera rispetto all’elenco di lavori pubblici necessari per ammodernare il Paese (e il Sud in particolare).

Eppure se ne parla da tempo immemorabile, come ben sanno i lettori della Gazzetta che sui treni veloci nel Meridione ha promosso campagne martellanti. Invece. C’è sempre e c’è sempre stato un motivo per bloccare l’ampliamento della rete ferroviaria adriatica. Una volta insorgono i comitati locali, una volta strillano i responsabili regionali (vero, Molise), una volta protestano quelli che sotto sotto avevano progettato lottizzazioni di aree e pregustato affari a sbafo. Insomma c’è sempre qualcuno che si mette, che si è messo di traverso a un progetto (il raddoppio del binario unico, pericoloso e assurdo) che, in una nazione normale, sarebbe giunto al traguardo già un paio di secoli addietro.

Adesso è il turno di chi teme che i treni veloci sulla linea ferroviaria in questione possano compromettere la salute dell’uccello Fratino. Di conseguenza, sarebbe meglio lasciar perdere. E pensare che solo 4 anni fa sull’Andria-Corato la vetustà dei collegamenti ha provocato una strage ferroviaria di cui non si spegnerà mai il ricordo. Nulla da fare. La difesa della natura, secondo l’ecologismo più fanatico, viene prima dell’uomo, come se l’uomo non facesse parte del creato.

Il fatto che l’avanzamento tecnologico sia da sempre il principale e più efficace alleato dell’ambiente non riesce a fare breccia nella testa di molti. Eppure oggi c’è minore inquinamento, anche acustico, rispetto a 20-30 anni fa. Ma le cifre non godono di buona reputazione. Chissà come, chissà perché, il dogmatismo più cocciuto sostiene che l’aria è più malmessa oggi di ieri e che il genere umano non accetta limitazioni nella sua pretesa di distruzione dell’habitat circostante. Ma è davvero così? E poi: davvero la salvaguardia dell’uccello Fratino è sempre preferibile alla sicurezza e alla rapidità degli spostamenti umani? Bah.
Chissà se è la tentazione nichilistica, il sentimento di cupio dissolvi, a spingere l’uomo all’opposizione davanti a ogni soluzione innovativa e razionale. Sta di fatto che basta un nonnulla, tipo il presunto disturbo di un Eurostar alla privacy di un uccello per cercare di fermare un’opera che metà del Belpaese attende, come già accennato, sin dalle gesta di Giuseppe Garibaldi (1807-1882),

Il governo ha lasciato intendere che non saranno gli uccelli a paralizzare i lavori o a sospenderli a oltranza. Ce la farà? Non sarebbe la prima volta se il partito trasversale del nonsipuotismo si dovesse mettere sulla strada per impedire il cammino. E quasi sempre il partito del no ci riesce alla grande, anche perché dispone di un prezioso supporto: quello dei governanti o degli amministratori in servizio effettivo, nessuno dei quali lotterebbe come un gladiatore per un progetto a lunga scadenza, la cui attuazione arrecherebbe benefìci elettorali e politici solo alle successive classi dirigenti.

Infatti. Sono due gli schieramenti che di solito ostacolano la realizzazione delle opere pubbliche in Italia: quello che si oppone per partito preso, in nome di un radicalismo ecologico contrario alla civiltà industriale e all’urbanesimo, e ancoranostalgico del piccolo mondo antico rurale e artigianale; e quello dello status quo politico-amministrativo, timoroso di consegnare agli «eredi» il dividendo mediatico di una mega-iniziativa dal massiccio impatto popolare.

Intendiamoci. L’ambiente è vita, guai a distruggerlo, anziché salvaguardarlo. Sarebbe il disastro. Ma guai a mettere il genere umano in secondo piano, una tentazione tutt’altro che ipotetica di fronte alle priorità riconosciute all’uccello Fratino, ma negate ai viaggiatori sui binari adriatici.

Diciamo che i veri ambientalisti dovrebbero tifare per la progressione tecnologica senza fine, come dimostrano i vantaggi pubblici e privati prodotti dalla civiltà delle macchine. I veri ambientalisti, quasi sempre riformisti o riformatori, dovrebbero distinguersi dall’esercito degli ecologisti, ideologicamente nemici delle novità, delle modernità, delle attrezzature/infrastrutture, degli strumenti che facilitano la quotidianità di uomini e donne.

I veri ambientalisti non dovrebbero farsi sedurre dal miraggio fatale della «società senza crescita», che nelle sue punte più estreme tende alla deificazione della natura e alla demonizzazione dell’umanità. Non si può passare dalla religione dell’umanità alla religione della natura. Non si può violentare il principio kantiano: l’umanità deve restare il fine, non può essere degradata a mezzo. Né si può sognare una terra «lieta dove non passa l’uomo», come poetava Giuseppe Ungaretti (1888-1970). Se così fosse, vorrebbe dire che gli interessi degli uccelli, o degli insetti, vengono prima di quelli delle persone. Come forse la pensano gli ultrà contrari al raddoppio del binario unico tra Molise e Puglia.

E pensare che la tecnologia metterebbe tutti d’accordo.  

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