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C'è poco da festeggiare per i 50 anni delle Regioni

 
Tonio Tondo

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Tonio Tondo

C'è poco da festeggiare per i 50 anni delle Regioni

L’Italia che riparte non può rinascere dalle montagne inutili di articoli di legge, commi, termini intraducibili nel lessico vissuto di tutti noi, soprattutto di tutte le persone che sono le vittime della pandemia, biologica e socioeconomica

Giovedì 14 Maggio 2020, 15:00

16:30

La gestione dell’emergenza epidemiologica, con gravissimi effetti sanitari e socioeconomici della pandemia da Covid-19, dichiarata dal governo il 31 gennaio scorso, ha determinato una forte tensione nei delicati rapporti ed equilibri istituzionali. La deliberazione del consiglio dei ministri, in base al Dlgs del 2018 che disciplina le attività della Protezione civile, è stata seguita da decine di decreti legge e da centinaia di Dpcm (Decreti del presidente del consiglio) e ordinanze da parte di ministri, presidenti di regione e sindaci, provocando così uno smottamento sistemico nelle competenze costituzionali.

Da una parte, il governo che centralizza, legifera e amministra anche nel dettaglio; dall’altra, le regioni costrette a inseguire o a protestare, alcune delle quali, a partire dal Veneto, stanno immaginando una loro fuga federale e competitiva, puntando su una gestione più controllata e più fluida sia dell’emergenza sanitaria sia nelle decisioni relative alle riaperture produttive.

Tutto questo nel cinquantesimo compleanno delle regioni. Era infatti il 16 maggio 1970 quando fu pubblicata la legge n. 281 che stabilì le entrate finanziarie e disciplinò le prime procedure contabili sui tributi da devolvere ai nuovi soggetti costituzionali.

Un mese dopo si tennero le prime elezioni regionali. Presidente del consiglio era Mariano Rumor, ministro del Tesoro il lucano Emilio Colombo (chiamato poi ad agosto dal presidente della Repubblica Leone a sostituire lo stesso Rumor alla guida del governo). Si concludeva così la prima lunga marcia per far nascere 15 regioni a statuto ordinario, dopo le cinque a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige nate tra il 1944 e il 1948). Si può fare un bilancio? Si possono trarre le prime conclusioni utili per confermare la strada intrapresa oppure per cambiare percorso?
Siamo immersi in una catastrofe di dimensioni mondiali. Il nostro paese è finora tra i più colpiti dalla pandemia. Le regioni più produttive, la Lombardia prima di tutto, sono le più prostrate, con oltre 15mila morti, la metà del totale, nel triste conteggio serale. Milioni di persone hanno perduto il posto di lavoro, si spera solo momentaneamente. Non è proprio il momento per tentare bilanci, dobbiamo solo impegnarci con disciplina a fare il nostro dovere di cittadini responsabili.

Eppure, la storia di altre epidemie ci insegna che proprio quando la sofferenza, il disorientamento e la paura dell’ignoto ci bloccano nell’azione, proprio in quella crisi più profonda rispunta in noi lo spirito della vita e della nuova iniziativa. Non si tratta solo di una risorsa psicologica individuale, una reazione all’attacco del nemico, ma i diversi corpi sociali e istituzionali avvertono al loro interno il bisogno di ricominciare bene, partendo proprio dalle cause e dalla debolezze che forse hanno accentuato gli effetti più nefasti.

Sono trascorsi 85 giorni dal primo contagio accertato in laboratorio, il 21 febbraio a Codogno. Da allora è stato un terribile crescendo nei numeri della pandemia. I territori e le comunità più globalizzate stanno pagando il prezzo più alto. Perché?

Eppure, altri paesi anch’essi globalizzati hanno dimostrato finora maggiore capacità reattiva. La Lombardia, la parte settentrionale dell’Emilia Romagna e delle Marche, una parte del Veneto sono vicine all’Austria e alla Germania meridionale. Qui la reazione è stata più pronta e anticipata rispetto ai nostri tempi. La risposta sta nell’efficienza e nell’ordine dimostrato da altri assetti istituzionali, comunitari e integrati, aperti e coesi. Equilibri tra centro e periferia nati subito dopo la seconda guerra mondiale. La Germania è un paese federale, con 16 lander che esercitano poteri ampi e sono rappresentati nella seconda camera, il Bundesrat. Anche lì si discute fino a notte fonda. Poi però, una volta deciso una amministrazione tecnica di alto livello si mette simultaneamente in modo. Non c’è molto spazio per burocrati incapaci. Vale il merito, l’aveva stabilito Otto von Bismarck dal 1862 al 1890, da primo ministro di Prussia e federatore della Germania moderna.

Sono passati circa 20 anni dalla formulazione e dall’approvazione del nuovo titolo v della Costituzione, l’ordinamento di poteri nel nostro assetto di convivenza istituzionale. Fino a 20 anni fa il potere centralizzato aveva sempre fatto valere la sua decisione. Centralizzata era l’Italia dall’unità in poi. Eppure, nel nostro paese non sono mancati i federalisti, i regionalisti e i sostenitori delle autonomie, Carlo Cattaneo, eroe risorgimentale, poi Luigi Sturzo, sacerdote e leader del popolarismo. Autonomisti erano presenti anche tra i liberali. Ma in Italia hanno vinto sempre i centralizzatori, grazie all’alleanza tra settori della politica, borghesia del Nord, aristocrazia terriera del Sud e la potente burocrazia romana sparsa tra ministeri e poteri nelle diverse agenzie. Ecco, nello scontro tra centralizzatori e qualche esponente regionale innovativo ha prevalso sempre l’immobilismo nelle decisioni amministrative. Un tiro alla fune che continua e sta debilitando ancor più il nostro sistema decisionale.

Il governo ha usato i poteri dell’emergenza abusando di decreti leggi, regolamenti amministrativi e circolari ministeriali. Tutto in decine di migliaia di pagine. Una lingua peraltro astrusa. La riforma del titolo v, con il nuovo articolo 117, da 20 anni sta lì a dire che al governo centrale spetta solo il compito di fissare la direzione da seguire, gli indirizzi cui far riferimento. Legislazione e amministrazione, a partire dai regolamenti, spettano alle regioni nelle materia di competenza propria e nelle materie a legislazione concorrente. Il dettaglio esecutivo riguarda la gestione. Ovviamente, la gestione è un alto compito di amministratori competenti che riescono con la loro preparazione e deontologia a far coincidere parola scritta, pensiero e azione. Ecco, l’Italia che riparte non può rinascere dalle montagne inutili di articoli di legge, commi, termini intraducibili nel lessico vissuto di tutti noi, soprattutto di tutte le persone che sono le vittime della pandemia, biologica e socioeconomica. Nessuna regione può festeggiare, anzi nelle regioni c’è stato solo l’espansione delle cattive pratiche centrali, soprattutto nel nostro Mezzogiorno. Ma neanche il governo può trarne vanto o sollievo, la tristezza è vedere le cose ferme nel nostre paese, e nelle situazioni immobili si condensano il rancore e il veleno sociale.

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