Si dice che gli italiani diano sempre il meglio di sé nelle emergenze e nelle difficoltà. Siamo sicuri? A giudicare dai ritrovi affollati, dalla renitenza a rimanere in casa, dalla resistenza a recepire i consigli degli esperti e le direttive del governo sul coronavirus, si direbbe proprio di no, che davvero non ci sono le ragioni per autocelebrarsi. Per fortuna non tutti gli italiani sono così: menefreghisti e anarchici, incoscienti e cinici. Ma, purtroppo duole constatarlo, una fetta consistente di popolazione ignora i doveri che richiede il vivere civile e, soprattutto, si fa beffe di quel senso di responsabilità che, per una nazione, vale molto di più di una produzione legislativa di elevata qualità.
Questa porzione ingente di irresponsabilità è equamente divisa tra Nord e Sud, non c’è divario che tenga, tanto da essere tentati di sottoscrivere senza riserve la tesi di chi definisce l’Italia come l’unico casino che la legge Merlin non sia riuscita a far chiudere.
Parecchi italiani, peccato, sono fatti così: ritengono che le norme siano, tutt’al più, consigli poco utili o usa-e-getta; sono convinti che le disposizioni riguardino esclusivamente gli altri; pensano che dietro un pacchetto di imposizioni ci sia sempre qualche motivazione inconfessabile; ritengono che le emergenze come un’epidemia vengano programmate da fantomatici Poteri Forti per chiari fini di dominio personale.
Credono che dietro i disastri tipo la diffusione del virus cinese si nasconda la speculazione internazionale, frutto della tanto esecrata globalizzazione E via discorrendo, anzi correndo verso il complottismo, il cospirazionismo più spregiudicato. È sufficiente consultare la Rete per rendersi conto del livello di serietà (sic) raggiunto dalle discussioni quando chi non sa massacra chi sa.
È vero. Le leggi in Italia non vengono osservate anche perché, oltre ad essere scritte in un italiano incomprensibile, sono formulate in modo tale da non poter essere osservate. È un vizio che viene da lontano. «L’Italia ha troppe leggi, temperate dall’inosservanza», si lamentava, più di un secolo fa, il presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli (1825-1903). Ma nel caso della lotta al coronavirus, non è questione di leggi da rispettare (o schivare, per gli italiani), semmai di prescrizioni da seguire anche perché, come insegnava Cicerone (106-43 avanti Cristo), la salute (in tutti i sensi) di un popolo dev’essere la suprema delle leggi.
Eppure certi atti di menefreghismo oltrepassano i confini dell’irresponsabilità per approdare nel recinto dell’incoscienza, mai come adesso tanto diffusa. Sono sempre di meno quelli che potrebbero fare proprie le parole di Gaetano Salvemini (1873-1957): «Tanti mi dicono che noi italiani siamo fatti così, ma io sono italiano, e non sono fatto così». E chissà se Antonio Gramsci (1890-1937) riscriverebbe oggi, tale e quale, in un’ipotetica riedizione dei Quaderni, che tra le caratteristiche precipue del carattere degli italiani vanno rimarcate l’apoliticità riottosa e la troppa ammirazione per l’intelligenza. Troppa ammirazione per l’intelligenza? Bah. Forse era così ai suoi tempi, e non per tutti, ossia prima che spuntasse la nuova divinità, ossia la Rete. Probabilmente ora un redivivo Gramsci ribalterebbe il suo concetto sugli italiani: da ammiratori dell’intelligenza ad ammiratori della stupidità, dell’insensatezza.
I social network sono il nuovo Leviatano. Sono loro a dettare mode, usanze, comportamenti, riti, specie per i più giovani. Di questo passo lo Stato sarà condannato a eseguire le sentenze pronunciate dai social. Che, non a caso, grazie alla tecnologia, di cui sono espressione, si atteggiano a nazioni nel vero e letterale significato del termine. I social non hanno frontiere fisiche, a differenza delle nazioni titolari di un territorio di controllo, ma si comportano come un soggetto politico più forte, perché privo di frontiere, di limitazioni geografiche. Miscelate ora queste nuove pulsioni post-tecnologiche con la vocazione metà individualistica metà gregaria degli italiani e otterrete un cocktail sempre meno commestibile e sempre più indecifrabile, un frullato di devastazione dei poteri (pubblici) e di esaltazione dei voleri (privati).
In fondo anche l’inosservanza dei precetti diffusi dal governo, e dagli esperti, per contrastare l’avanzata della nuova «peste» è figlia di quel populismo digitale che sta conducendo molti popoli all’autodistruzione. Per sua natura il popolino del web è grossolano e credulone, privo di anticorpi fondamentali come lo spirito critico e la filosofia del dubbio. È carente, ancora il popolino del web, proprio nel sistema immunitario culturale, che invece è importante, per la salute personale e collettiva, quasi come il sistema immunitario fisico.
In parecchi italiani queste patologie si sommano e si completano fino a rasentare, paradossalmente, la perfezione svizzera. Col risultato di rendere sempre più ingovernabile una nazione che era già ingovernabile da lunga pezza. Leonardo Sciascia (1921-1989) descriveva l’irredimibile Sicilia come metafora dell’Italia. Irredimibili. Gli italiani, anche se per fortuna salveminianamente non tutti, sono irredimibili. Come dimostrano le scene di indifferenza contagiosa, (punitiva e autopunitiva) degli ultimi giorni.