I due Matteo della politica italiana sono divisi su tutto, ma accomunati su un punto: la battaglia contro Giuseppe Conte, il loro bersaglio preferito. Salvini non vede l’ora di poter dare una spallata al presidente del Consiglio, cui non perdona, tra l’altro, le micidiali bordate ricevute in Aula all’indomani della rottura del contratto gialloverde. Renzi, invece, arde dal desiderio di dimostrare, in ogni momento, che la golden share della maggioranza giallorossa appartiene a Italia Viva, non ad altri, e che se ci fosse la possibilità di sfrattare l’attuale inquilino di Palazzo Chigi, lui, Matteo Renzi, non esiterebbe nemmeno un nanosecondo, fosse pure per designare alla guida del governo il suo (ex) nemico Luigi Di Maio.
Le convergenze parallele (anti-contiane) tra i due Matteo si fermano qui, anche perché lo scopo di Salvini è andare in pressing, come sapeva fare in campo il mediano milanista «Ringhio» Gattuso, per chiudere anzitempo la partita di questa legislatura e consultare sùbito gli elettori, mentre nel disegno di Renzi è contemplato un cambio al vertice del governo, ma non un cambio di passo per andare presto alle urne (in ogni caso mai - secondo l’ex premier - prima del 2022, anno in cui scade il settennato di Sergio Mattarella al Quirinale).
Per il resto, Salvini e Renzi sono destinati a sfidarsi a oltranza, anche se il patrimonio elettorale del primo è, sondaggi alla mano, sei volte più cospicuo rispetto alla dote elettorale del secondo.
Entrambi i Matteo si sono messi a corteggiare le truppe di Silvio Berlusconi, che non saranno più l’esercito travolgente di qualche anno addietro, ma non sono neppure una formazione trascurabile. Salvini corteggia i berlusconiani da destra, Renzi dal centro.
Per centrare l’obiettivo, sia Salvini sia Renzi hanno corretto e stanno correggendo il tiro, cioè la linea politica, onde evitare che il professor Conte si riveli più scaltro e svelto di loro due, grazie a un’opera di seduzione verso i nuovi «responsabili» (soccorritori del governo) che, a detta di parecchi retroscenisti di Montecitorio, albergherebbero soprattutto in Forza Italia.
Se Salvini non ha fatto un’inversione a U sull’Europa poco ci manca. Anche a costo di provocare un infarto ai due suoi parlamentari eurocontrari Alberto Bagnai e Claudio Borghi, che addebitano a Bruxelles la colpa di tutti i guai italiani, il condottiero del Carroccio ha inaspettatamente detto che l’euro è irreversibile; che l’Unione Europea si può riformare, ma non sopprimere; che la Lega è più filoamericana che filo russa. Roba che solo poche settimane fa sarebbe apparsa più inverosimile di un abbraccio tra Donald Trump e Hillary Clinton.
Ora. Sarà che spesso in politica i tatticismi oscurano le strategie; sarà che l’ex ministro dell’Interno si è convinto che l’America è sempre l’America e che tutti coloro che, nell’Europa occidentale, si sono allontanati da Zio Sam per avvicinarsi a Zio Ivan a Mosca, hanno dovuto ricredersi, sulla propria pelle, sulla efficacia della scelta fatta; sarà che rompere con l’Europa presenta più rischi di un salto acrobatico senza rete di protezione; sarà, pure, che la sincerità di determinati clamorosi dietrofront va verificata strada facendo, sta di fatto che il numero uno della Lega ha smesso di fare la voce grossa contro l’euro e l’Europa e che, anche per questa ragione, lui può ambire ad attirare a sè il mondo berlusconiano (ancora sprovvisto di una linea di successione al Cavaliere).
Anche Renzi ha puntato gli occhi, e non da oggi, verso il campo forzista. Il fondatore di Italia Viva non deve esibirsi in particolari retromarce filo-europeiste e filo-americane, né deve dare prova di significative aperture verso l’area berlusconiana, visto che è tuttora fresco il ricordo del Patto del Nazareno (Pd-FI) che suggellò (2014) il battesimo del governo presieduto dal Rottamatore fiorentino.
Insomma, il primo oggetto del contendere tra i due Matteo è l’ipoteca su Forza Italia. Berlusconi, con la sua presenza alla manifestazione romana del centrodestra, ha già scelto Salvini. Ma non tutta Forza Italia condivide l’orientamento del Principale. In parecchi non vogliono morire salviniani e in prospettiva non intendono chiudere le porte alle avance renziane. Non foss’altro perché non si fidano dell’ala più radicale, anti-europeista e nordista della Lega.
Tutto sommato, però, potrebbe spuntare qualcosa di inedito da questo ennesimo rimescolamento di carte che, bisogna dirlo, sa molto di corsa al riposizionamento tattico e poco di attaccamento alle questioni e alle soluzioni concrete, di merito, di contenuto. E questo qualcosa di inatteso potrebbe corrispondere, sul versante salviniano, all’attenuazione della spinta nazionalistica e anti-europea; mentre sul versante renziano, potrebbe corrispondere alla creazione di una forza moderata in grado di attenuare i radicalismi, gli estremismi di destra e sinistra. Ma gli antisalviniani di Forza Italia non sembrano avere fretta, forse perché attendono la mossa decisiva da parte dei forzisti filosalviniani. In fondo, nessuno tra loro ha ancora superato il complesso del padre (Berlusconi). Che resta sul pezzo.